TRIBUNALE DI GENOVA 
                        Prima Sezione civile 
 
    in persona del giudice unico dott.ssa Maria Cristina Scarzella, a
scioglimento della riserva assunta all'udienza 21  ottobre  2016,  ha
pronunciato  la  seguente  ordinanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale nella causa iscritta al n. 15185/2015 promossa da: 
        Avv. Acquilino Sergio, (C.F. CQNSRG57T23C483S) nato a  Cerano
(NO) e residente in Celle Ligure (SV), via Pestetta 23/2, Dr. Airoldi
Andrea (C.F. RLDNDR37D09D969A) nato a Genova ed ivi residente in  Via
S.  Bartolomeo  degli  Armeni,   21/14,   Astengo   Francesco   (C.F.
STNFRM64P11I480R), nato a Savona ed ivi residente in via  Monti  6/6,
Astigiano Simonetta (C.F. STGSNT60R49G605D) nata a Pietra Ligure (SV)
e residente in Genova, viale  Villa  Gavotti,  43/9,  Prof.  Barberis
Mauro (C.F. BRBMGS56B06D969R) nato a Genova ed ivi residente  in  via
Cesare Battisti, 4/14, On. Battelli  Sergio  (C.F.  BTTSRG82R07D969G)
nato a Genova e residente in Varazze (SV),  via  Marconi  37/2,  Avv.
Flick  Waldemaro  (C.F.  FLCWDM49L08D969G)  nato  a  Genova  ed   ivi
residente in via Capo S. Chiara,  26  A,  Dr.  Gallizia  Paolo  (C.F.
GLLPNG44H28A422I) nato a Arnasco (SV) e  residente  in  Genova,  vico
Barnabiti, 23/4, Prof. Luzzatto Giunio (C.F. LZZGNI35B22D969A) nato a
Genova ed ivi residente in Via  L.  Mercantini  6/9,  Pagano  Giorgio
(C.F. PGNGRG54M18E463A) nato a La Spezia  ed  ivi  residente  in  via
Fiume, 269 p. 7, int. 27, On. Pastorino Luca (C.F.  PSTLCU71P30D969R)
nato a Genova e residente in Bogliasco  (GE)  in  via  Pontiroli  29,
Pastorino Giovanni Battista (C.F. PSTGNN59L26D969M) nato a Genova  ed
ivi residente in via M.  Fanti,  4/34,  On.  Quaranta  Stefano  (C.F.
QRNSFN71P14F205L) nato a Milano e residente in Genova, via Romana  di
Quarto,  52/32,  Ronzitti  Giacomo  (C.F.  RNZGCM50C30L113E)  nato  a
Termoli (CB) e residente in Genova, via Beata Chiara, 7/2, Avv. Russo
Giovanni (C.F. RSSGNN32C20I480Q) nato a Savona ed  ivi  residente  in
via  S.  Francesco  d'Assisi   9/5,   Dott.   Sansa   Adriano   (C.F.
SNSDRN40M27G778A) nato a Pola e residente in Genova, Via Sant'Ilario,
62, Turchi Patrizia (C.F. TRCPRZ59B68I480B)  nata  a  Savona  ed  ivi
residente in  via  Pia  8  s.  dx.  int.  4,  Urbani  Giovanni  (C.F.
RBNGNN23S03L736L)  nato  a  Venezia  e  residente  in  Savona,  Corso
Colombo, 3/2, rappresentati e difesi come  da  mandato  in  calce  al
presente  atto  congiuntamente  e  disgiuntamente  dall'Avv.   Felice
Besostri (C.F. BSSFCC44D23M172R)  del  foro  di  Milano  e  dall'Avv.
Gabriella Branca (C.F. BRNMGB57E53H787Z) del foro di Savona,  nata  a
San Canzian d'Isonzo (GO), residente in  Savona,  via  Carruggio,  1,
dall'Avv. Arturo Flick (C.F. FLCRTR75P12D969D) del  foro  di  Genova,
nato a Genova ed ivi  residente  in  Salita  Giusti  7/11,  dall'Avv.
Vincenzo Paolillo (C.F. PLLVCN39H21E463O) del foro di Genova, nato  a
La Spezia  e  residente  in  Genova,  Via  Acquarone  56/7  sc.  ds.,
dall'Avv. Dario Rossi (C.F. RSSDRA65T13G224J)  del  foro  di  Genova,
nato a  Padova  e  residente  in  Genova,  via  Giustiniani,  9/32  e
dall'Avv. Sandro Valbusa (C.F. VLBSDR65C08D969C) del foro di  Genova,
nato a Genova ed ivi residente in via Ravecca, 5/9, i quali  avvocati
(ad eccezione dell'avv. Felice Besostri) agiscono anche in proprio  e
stanno in giudizio anche personalmente ai sensi dell'art.  86  codice
di procedura civile tutti i  cittadini/e  elettori/trici,  iscritti/e
nelle liste dei comuni compresi nel distretto della  Corte  d'Appello
di  Genova,  tutti  elettivamente  domiciliati  in   Genova,   Piazza
Cattaneo, 26/11,  presso  lo  studio  dell'avv.  Dario  Rossi,  parte
attrice; 
    Contro Presidenza del Consiglio dei ministri (P.I.  80188230587),
in persona del presidente pro tempore, e Ministero dell'interno (P.I.
80014130928), in persona del Ministro pro  tempore,  rappresentati  e
difesi per  legge  dall'Avvocatura  dello  Stato  di  Genova,  legale
domiciliataria  in  Genova,  Viale  Brigate  Partigiane,   2,   parte
convenuta. 
 
                    In fatto e in diritto osserva 
 
    Con atto di citazione notificato  in  data  3  dicembre  2015,  i
sig.ri Sergio Acquilino, Andrea Airoldi, Francesco Astengo, Simonetta
Astigiano, Mauro Barberis, Sergio Battelli,  Waldemaro  Flick,  Paolo
Gallizia, Giunio Luzzatto, Giorgio Pagano, Luca  Pastorino,  Giovanni
Battista Pastorino,  Stefano  Quaranta,  Giacomo  Ronzitti,  Giovanni
Russo, Adriano Sansa, Patrizia Turchi, Giovanni Urbani nella qualita'
di cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali del  comune  di
Genova hanno convenuto in giudizio la Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri e il Ministro dell'interno chiedendo al Tribunale di Genova: 
    «1) previa rimessione alla Corte costituzionale  delle  questioni
incidentali di costituzionalita' di alcune norme - articoli 1,  comma
1, lettere a), b), c), e), f), g) e i); 2, commi 1, 2, 3,  4,  5,  8,
10, 11, 17, 21, 25 capoversi «art. 83» (commi 1, numeri 3, 5 e 8,  2,
3, 4, 5 e 6 della novella), e «83-bis» (comma 1 numeri 1, 2,  3  e  4
della novella), 26, cpv «Art. 84, 29, 30, 31, 32, 33, 35,  e  36;  4,
comma 1, della legge n. 52/2015 (in Gazzetta Ufficiale n. 105  dell'8
maggio 2015, recante il titolo Disposizioni in  materia  di  elezioni
della Camera dei deputati), trasfuse nei novellati articoli 1, 2,  3,
4, 11, 14-bis, 18-bis, 19 comma 1, 31 comma 2 e  2-bis,  59-bis,  83,
83-bis, 84, Rubrica Titolo VI, 92, 93, 93-bis, 93-ter, 93-quater  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.   361/1957,   nonche'
dell'art. 14, comma 3 decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
361/1957, degli articoli 1, 3 decreto  legislativo  n.  122/2015  (in
G.U. n. 185 dell'11 agosto 2015), delle  tabelle  A,  A-bis  e  A-ter
allegate al decreto del Presidente della  Repubblica  n.  361/1957  e
limitatamente agli articoli  16  e  17  del  decreto  legislativo  20
dicembre 1993 n. 533, come modificati dall'art. 4  settimo  e  ottavo
comma della legge n. 270 del 21 dicembre 2005  -  che  tutte  vengono
dedotte tramite il presente atto e di cui in prosieguo, nonche' della
stessa legge n. 52/2015 nella sua interezza per errare in  procedendo
e irragionevolezza - stante che il loro accoglimento non  produrrebbe
in ogni caso alcun vuoto normativo - ritenuto che il giudizio  stesso
non potra' essere definito  a  prescindere  dalle  risoluzioni  delle
questione  medesime  in  quanto  rilevanti   e   non   manifestamente
infondate; 
    2) accertare e dichiarare di conseguenza il diritto  delle  parti
ricorrenti, cittadini/e italiani/e ed elettori/trici iscritti/e nelle
liste elettorali  dei  Comuni  compresi  nel  distretto  della  Corte
d'appello di Genova, di esercitare il loro  diritto  di  voto  libero
uguale personale e diretto cosi'  come  costituzionalmente  garantito
dal combinato disposto di cui agli articoli 1, commi primo e secondo,
2, 3, 6, 10, 11, 48, secondo e quarto comma, 49, 51 primo  comma,  56
primo e terzo comma, 58 primo comma, 64, 67, 72 quarto comma, 76, 77,
92, 114, 117 primo comma, 122, secondo comma e 138 della Costituzione
italiana vigente e dall'art. 3 del Protocollo n. 1 della CEDU,  norme
tutte violate dalle leggi nn. 52/2015 e  270/2005,  cio'  anche  alla
luce dei principi affermati con le sentenze  n.  1/2014  della  Corte
costituzionale e n. 8878/2014 della  Sezione  prima  della  Corte  di
cassazione. 
    3) accertare e dichiarare di conseguenza che l'applicazione delle
norme qui oggetto di censura e di cui alle  leggi  n.  52/2015  e  n.
270/2005 produrrebbe gravi lesioni a tale loro diritto. 
    4) con compensazione delle spese in quanto i ricorrenti  agiscono
per un interesse personale e non privato, come cittadini  interessati
alla regolarita' del  procedimento  elettorale  ed  al  rispetto  dei
diritti costituzionalmente garantiti in materia nuova». 
    A sostegno della domanda gli attori, premessa la loro qualita' di
essere cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali  di  comuni
ricompresi del distretto della Corte di appello di Genova e  di  aver
in tale veste il diritto di esercitare il  voto  nelle  forme  e  con
regole  compatibili  col  dettato  costituzionale  hanno   denunciato
l'illegittimita' costituzionale della legge 6 maggio  2015  n.  52  -
asseritamente promulgata in elusione  dei  principi  affermati  dalla
Corte costituzionale con la sentenza  n.  1  del  2014  (dichiarativa
dell'illegittimita' costituzionale di alcune  disposizioni  contenute
nella legge 270/2005) - in ragione di quattordici motivi: 1) error in
procedendo, per violazione dell'art. 72 comma  1  e  4  Cost.  e  dei
regolamenti parlamentari in materia elettorale e  costituzionale  per
illegittimita' della procedura  di  approvazione;  2)  irrazionalita'
della norma relativa all'attribuzione del premio di maggioranza  alla
(unica) lista che ottiene almeno il 40% dei voti, senza statuire cosa
accada nel caso in cui due liste raggiungano  il  40%  dei  voti;  3)
irragionevolezza, contraddittorieta'  rispetto  ai  fini  (dichiarati
dalla stessa riforma) di stabilita' e governabilita', in  particolare
nell'ipotesi il ballottaggio sia vinto da una lista arrivata  seconda
al primo turno, con esiti peculiari sul  piano  della  legittimazione
politica della stessa; 4) illegittimita' degli articoli 1 e  2  della
legge n. 52/2015, per violazione dell'art. 138 Cost., posto che  tale
legge avrebbe modificato  la  forma  di  Governo  da  parlamentare  a
presidenziale, senza rispettare l'iter prescritto  per  la  revisione
costituzionale; 5) relativo al «premio di maggioranza»,  con  lesione
del diritto al voto personale, uguale, libero e diretto: la legge  n.
52/2015  sarebbe  in  contrasto  con  quanto  statuito  dalla   Corte
costituzionale  con  sentenza   n.   1/2014,   laddove   si   prevede
l'attribuzione di un premio  di  maggioranza  alla  lista  che  abbia
ottenuto la vittoria al primo turno, conseguendo il 40  %  dei  voti,
essendo irragionevolmente sproporzionato  il  rapporto  tra  i  voti,
tenuto conto che ottenuti ed i seggi attribuiti  grazie  al  suddetto
premio, con conseguente lesione  del  principio  di  uguaglianza  dei
voti; 6) relativo alla norma disciplinante il turno di  ballottaggio,
con lesione del diritto al voto personale, uguale, libero e  diretto,
in contrasto con quanto statuito dal Giudice delle leggi nel 2014: il
meccanismo di attribuzione dei  voti  mediante  ballottaggio  tra  le
liste che abbiano ottenuto, al primo turno,  le  due  maggiori  cifre
elettorali nazionali, stante l'assenza di una soglia minima  di  voti
validi per l'accesso al  ballottaggio,  consentirebbe  l'attribuzione
del cosiddetto premio di maggioranza anche ad  una  lista  che  abbia
ottenuto un numero minimo di voti validi; 7)  relativo  ai  capilista
«bloccati» e al sistema delle preferenze con lesione  al  diritto  al
voto personale, uguale, libero e  diretto;  8)  illegittimita'  della
norma di cui all'art. 2, comma 11, legge n. 52/2015 sulle candidature
multiple; 9) illegittimita' della legge n. 52/2015, laddove  comporti
l'elezione di un numero di  deputati  superiore  al  numero  di  630,
previsto dalla stessa Costituzione; 10)  lesione  dei  diritti  delle
minoranze linguistiche; 11) irragionevole disparita'  di  trattamento
con riferimento all'obbligo  di  presentazione  delle  sottoscrizioni
rese da elettori iscritti nelle liste elettorali,  imposto  ai  nuovi
soggetti politici per la presentazione delle liste alle elezioni; 12)
lesione  delle  prerogative  del  Presidente  della  Repubblica,   in
particolare con riferimento al potere di nomina  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 13) lesione  della  rappresentativita'  delle
minoranze linguistiche con riferimento alla  tabella  A  allegata  al
decreto  del   Presidente   della   Repubblica   n.   361/1957;   14)
irragionevolezza delle soglie di accesso  al  Senato,  sproporzionate
rispetto a quelle di accesso alla Camera, nonostante il numero doppio
di deputati rispetto ai senatori. 
    Con comparsa di costituzione e risposta del 19  gennaio  2016  la
Presidenza del Consiglio dei ministri in persona del  Presidente  del
Consiglio pro tempore e il Ministero  dell'interno,  in  persona  del
Ministro pro tempore, si sono costituite eccependo,  preliminarmente,
l'inammissibilita' della domanda per carenza di un interesse  attuale
(in ragione del fatto che la legge n. 52/2015 entrera' in vigore solo
a  far  data  dal  1°  luglio  2016).  Nel   merito   hanno   dedotto
l'infondatezza delle doglianze di parte attrice, evidenziando che  le
nuove disposizioni legislative assicurano il  rispetto  dei  principi
affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 1/2014. 
    In via preliminare le  parti  hanno  proceduto  alla  discussione
sulle eccezioni preliminari sollevate da parte convenuta, di  carenza
di interesse  e  irrilevanza  della  questione  di  costituzionalita'
prospettata rispetto al giudizio in corso; precisate  le  conclusioni
su dette questioni in data 4 agosto 2016, e'  stata  emessa  sentenza
non definitiva, con cui la  scrivente,  ritenuta  la  competenza  del
Tribunale in composizione monocratica, ha ritenuto non fondate  dette
eccezioni, dichiarando ammissibile la domanda. La causa, con separata
ordinanza e' stata quindi rimessa sul ruolo. 
    Il 9 settembre 2016, con atto di intervento adesivo, i Comuni  di
Campomorone e Ceranesi, in persona dei loro Sindaci, sono intervenuti
nel giudizio per  vedere  accolte  le  conclusioni,  formulate  dagli
attori, limitatamente al XIII motivo, che sarebbe satisfattivo  delle
ragioni dei cittadini elettori dei due Comuni. Infatti, il diritto di
voto  dei  cittadini  di  Campomorone   e   Ceranesi   risulta   leso
dall'assegnazione degli elettori dei due Comuni al  Collegio  Liguria
03, costituito dalla Provincia di La Spezia con l'aggiunta  degli  ex
collegi uninominali  di  Rapallo  e  Chiavari,  in  assenza  di  ogni
contiguita' territoriale nonche' di legami  storici,  socioeconomici,
infrastrutturali  o  di  assi   di   comunicazione   tra   i   Comuni
intervenienti e il Levante ligure. 
    Si richiama  integralmente  la  motivazione  della  sentenza  non
definitiva,  datata  4  agosto  2016,  resa  dalla  scrivente   sulle
questioni preliminari,  con  cui,  previa  disamina  della  questione
relativa alla competenza del giudice monocratico,  dell'interesse  ad
agire e della sussistenza della rilevanza delle prospettate questioni
di costituzionalita'  nel  presente  giudizio,  e'  stata  dichiarata
ammissibile la domanda. 
    In essa e' stata anche trattata - in quanto strettamente connessa
all'eccezione di  carenza  di  interesse  ad  agire  -  la  questione
relativa alla rilevanza nel presente giudizio delle dedotte questioni
di legittimita' costituzionale (considerate nel loro  complesso):  in
particolare e' gia' stato rilevato dalla scrivente che l'art. 1 della
legge costituzionale n. 1 del 1948, prevede  che:  «La  questione  di
legittimita' costituzionale di una legge o di un atto avente forza di
legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da  una  delle
parti  nel  corso  di  un  giudizio  e  ritenuta  dal   giudice   non
manifestamente infondata, e' rimessa alla Corte costituzionale per la
sua decisione». Detta disposizione si salda con quella  dell'art.  23
della legge n. 87 del 1953, la quale, con terminologia  letteralmente
piu' restrittiva, prevede che: «Nel corso di un giudizio  dinanzi  ad
un'autorita' giurisdizionale una delle parti o il pubblico  Ministero
possono sollevare questione di legittimita'  costituzionale  mediante
apposita istanza». 
    In base ad esse il giudice puo' sollevare questione relativamente
a una disposizione di legge solo e nei limiti in cui essa deve essere
applicata in una controversia concreta. La necessaria  applicabilita'
dell'atto sindacato costituisce una logica, diretta  derivazione  del
carattere incidentale del controllo di costituzionalita'. Se  non  si
richiedesse l'applicazione nel  giudizio  a  quo  della  disposizione
asseritamente illegittima, il giudice potrebbe formulare questioni di
costituzionalita' del tutto sganciate dalle vicende applicative della
legge e, dunque, astratte od ipotetiche; la  rilevanza  e'  cio'  che
assicura la concretezza della questione e instaura un legame  fra  il
giudizio costituzionale e il giudizio a quo. 
    Gli interessi tutelati nei due distinti ed autonomi  procedimenti
(giudizio costituzionale e  giudizio  a  quo)  devono  quindi  essere
diversi e non  sovrapponibili.  Nel  giudizio  a  quo  si  fa  valere
l'interesse soggettivo e concreto delle  parti  a  ottenere  un  bene
della vita o a non subire una limitazione della propria liberta'  per
effetto di una legge incostituzionale; nel giudizio costituzionale si
salvaguarda l'interesse  obiettivo  dell'ordinamento  alla  legalita'
costituzionale.  Come  ben  evidenziato  dalla  Suprema  Corte  nella
sentenza n. 8874/2014 «L'oggetto della domanda e' dato  dal  raccordo
tra petitum e  causa  petendi.  Il  petitum  si  scinde  nel  petitum
immediato (la pronuncia richiesta al giudice, che nel caso di  specie
e' di accertamento) e mediato, che e' la «cosa oggetto della domanda»
di cui all'art. 163 codice di procedura civile, cioe' il  bene  della
vita che il processo dovra' far conseguire all'attore  (nel  caso  di
specie, la possibilita' di votare  nel  modo  indicato  nell'atto  di
citazione  e  l'accertamento  della  potenziale  lesione).  La  causa
petendi consiste nei «fatti e... elementi di diritto  costituenti  le
ragioni della domanda»  di  cui  all'art.  163  codice  di  procedura
civile: nel caso di specie, nel  diritto  di  voto  quale  risultante
dalle norme  costituzionali  invocate  dall'attore,  secondo  la  sua
interpretazione.» Sussiste quindi il presupposto  della  rilevanza  ;
l'accertamento della avvenuta lesione del diritto di voto in capo  ai
singoli attori richiede infatti una autonoma statuizione da  rendersi
nel presente giudizio che non potrebbe essere  sussunta  nel  decisum
della Corte costituzionale (vedi sul punto Cassazione  n.  8878/2014:
«Infatti non potrebbe ritenersi che vi  sia  coincidenza  (sul  piano
fattuale   e   giuridico)   tra   il   dispositivo   della   sentenza
costituzionale e quello della sentenza che definisce il  giudizio  di
merito. Quest'ultima accerta l'avvenuta lesione del diritto  azionato
e,  allo  stesso  tempo,  lo  ripristina  nella  pienezza  della  sua
espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale. ...
Come osservato da una autorevole dottrina, ci sono leggi  che  creano
in maniera immediata restrizioni  dei  poteri  o  doveri  in  capo  a
determinati soggetti, i quali nel momento  stesso  in  cui  la  legge
entra in vigore si trovano gia' pregiudicati da esse,  senza  bisogno
dell'avverarsi di un fatto che trasformi l'ipotesi legislativa in  un
concreto  comando.  In  tali  casi  l'azione  di  accertamento   puo'
rappresentare   l'unica   strada   percorribile   per    la    tutela
giurisdizionale di  diritti  fondamentali  di  cui,  altrimenti,  non
sarebbe  possibile  una  tutela  ugualmente   efficace   e   diretta.
L'esistenza nel nostro ordinamento di un filtro  per  l'accesso  alla
Corte  costituzionale,  che  e'  subordinato  alla  rilevanza   della
questione  di  costituzionalita'  rispetto  alla  definizione  di  un
giudizio comune, di certo  non  puo'  tradursi  in  un  ostacolo  che
precluda quell'accesso qualora  si  debba  rimuovere  un'effettiva  e
concreta   lesione   di   valori    costituzionali    primari.    Una
interpretazione  in  senso  opposto  indurrebbe  a   dubitare   della
compatibilita' della legge n. 87 del  1953,  medesimo  art.  23,  con
l'art. 134 Cost. (v. Corte  costituzionale  n.  130/1971).  Anche  la
giurisprudenza della Cassazione e' nel  senso  che  la  questione  di
costituzionalita'  puo'  formare  oggetto  autonomo  di  impugnazione
quando, attraverso la sua riproposizione, si tenda ad  ottenere,  per
effetto dell'eliminazione dall'ordinamento  della  norma  denunciata,
una decisione diversa e piu'  favorevole  di  quella  adottata  dalla
sentenza impugnata (v.,  tra  le  altre,  Cassazione  n.  5775/1987).
Fallace sarebbe quindi l'obiezione (cui si e' gia' in parte  risposto
al p. 3.2.1) secondo cui l'eventuale pronuncia di accoglimento  della
Corte costituzionale verrebbe a consumare ex se la  tutela  richiesta
al giudice remittente, nella successiva fase del giudizio principale,
con   l'effetto   di   escludere   l'incidentalita'   del    giudizio
costituzionale. Infatti, il giudizio sulla rilevanza va  fatto,  come
si e' detto, nel momento in cui il  dubbio  di  costituzionalita'  e'
posto, dalla cui dimostrata fondatezza (per  effetto  della  sentenza
della Corte costituzionale) e' possibile avere solo  una  conferma  e
non certo una smentita  della  correttezza  di  quel  giudizio  sulla
rilevanza.». 
    Nella presente sede si deve pertanto procedere alla analisi delle
singole questioni di legittimita' costituzionale, valutando  di  esse
la rilevanza in concreto e la non manifesta infondatezza. 
    Come  e'  noto,  a  seguito  della   proposizione   di   distinti
procedimenti innanzi ad altri Tribunali, la Corte  costituzionale  e'
gia' stata investita della questione di  legittimita'  costituzionale
in relazione ad alcuni dei motivi che sono stati proposti  anche  nel
presente giudizio (vedi ordinanza tribunale Messina 17 febbraio 2016,
ordinanza Tribunale Torino 5 luglio 2016, ordinanza tribunale Perugia
3 settembre 2016; ordinanza tribunale Trieste 5 ottobre 2016);  altri
Tribunali, investiti della medesima questione, al contrario non hanno
condiviso i dubbi di costituzionalita'  prospettati  (vedi  tribunale
Catanzaro 25 giugno 2015) oppure hanno dichiarato non ammissibile  la
domanda (Trib. Milano). 
    Laddove dalla  scrivente  vengano  condivise  le  valutazioni  di
rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza  degli   identici   motivi
esaminati dalle ordinanze sopra indicate verra' fatto un mero  rinvio
a detti provvedimenti, trattandosi di questioni sulle quali la  Corte
costituzionale e' gia' stata investita. 
    Nel merito va premesso che, come noto, il Parlamento ha approvato
(in prima deliberazione al Senato nella seduta del 13 ottobre 2015  e
dalla  Camera  nella  seduta  dell'11  gennaio  2016  e,  in  seconda
deliberazione, dal Senato nella seduta del 20 gennaio  2016  e  dalla
Camera nella seduta del 12 aprile 2016) un testo di legge di  riforma
costituzionale. Il testo non e' entrato in vigore essendo  sottoposto
a referendum, ex art. 138 Costituzione, fissato  per  il  4  dicembre
2016. 
    La riforma costituzionale attualmente  in  itinere  prevede,  per
quanto di rilievo nel presente procedimento, il superamento del  c.d.
bicameralismo   perfetto   con   l'adozione   di   un   bicameralismo
«differenziato» che conferma l'articolazione del  Parlamento  in  due
rami, la Camera dei deputati e  il  Senato,  che  nel  nuovo  assetto
avranno composizione diversa e funzioni in gran parte non coincidenti
e, in particolare, non parteciperanno piu'  in  modo  paritario  alla
funzione legislativa. 
    E' previsto che  la  Camera  dei  deputati  che  «rappresenta  la
Nazione» sara' titolare del rapporto fiduciario con il Governo, oltre
che della funzione di indirizzo politico e di controllo  dell'operato
del  Governo  e   manterra'   la   titolarita'   della   «produzione»
legislativa. 
    I componenti della Camera saranno eletti con il sistema  previsto
dalla legge n. 52/2015. 
    Il Senato sara' invece, la camera di  rappresentanza  degli  enti
territoriali, con funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri  enti
costitutivi della Repubblica, oltre che con l'Unione europea,  e  non
avra'  piu',  salvo   alcune   specifiche   materie,   una   potesta'
legislativa. 
    E' prevista  l'eliminazione  dell'elezione  di  questa  Camera  a
suffragio universale e diretto : essa sara' composta da 95  senatori,
rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori di nomina
Presidenziale; i primi saranno eletti in secondo grado  dai  consigli
regionali tra i propri membri e, nella misura di  uno  per  ciascuno,
tra i sindaci dei comuni nei rispettivi territori. 
    Il  disegno  di  riforma  costituzionale  mantiene   il   sistema
bicamerale perfetto in sede di produzione  legislativa  solo  in  via
residuale, per determinate categorie di leggi, previste espressamente
dalla Costituzione. 
    L'evidente strumentalita' della nuova legge  elettorale  rispetto
al previsto, ma non ancora attuato, quadro di riforme istituzionali a
livello costituzionale (limitandosi essa a disciplinare le regole per
l'elezione della Camera dei deputati) ha indotto i  commentatori,  ed
anche i ricorrenti, a valutarne la  tenuta  costituzionale  non  solo
sulla base del testo della Carta fondamentale oggi vigente, ma  anche
in base all'assetto istituzionale che  risultera'  dalla  (eventuale)
entrata in vigore del disegno  di  riforma,  rilevando  come,  in  un
sistema come quello sopra delineato, il legislatore  dovrebbe  tenere
conto, in modo ancora piu' puntuale, del rispetto della sovranita'  e
rappresentativita' popolare espressi attraverso il diritto  di  voto,
rispetto alle esigenze  di  governabilita',  essendo  ormai  la  sola
Camera dei deputati ad essere rappresentativa della Nazione in quanto
l'unica eletta direttamente e a suffragio universale. 
    Come gia' correttamente evidenziato dal Tribunale di Torino,  con
l'ordinanza sopra citata, nella parte in cui e' stato individuato  il
«corretto parametro di valutazione della conformita'  a  Costituzione
della legge  elettorale»,  dette  valutazioni  non  possono  assumere
rilievo nel presente procedimento  quali  parametri  di  verifica  di
conformita' alla Costituzione delle norme censurate  dai  ricorrenti,
in  relazione  al  diritto  di  voto  come  delineato  dall'art.   48
Costituzione, per l'evidente ragione  che  non  e'  possibile,  oggi,
prendere in considerazione un testo della Costituzione non ancora  in
vigore e la cui  entrata  in  vigore  e',  inoltre,  solo  eventuale,
dipendendo essa dall'esito del referendum costituzionale di cui si e'
detto. 
    Per tali ragioni non verranno esaminate  ne'  prese  comunque  in
considerazione  le  argomentazioni  svolte  dai  ricorrenti  e  dalla
dottrina che ha dibattuto su questi temi, dell'eventuale  conformita'
a Costituzione della legge n. 52/2015 nelle parti censurate, rispetto
a un testo della Costituzione non attualmente in vigore. 
    Sempre in via preliminare, anche alla luce delle difese svolte da
parte  attrice  in  merito   all'individuazione   dell'ambito   della
valutazione richiesta al  giudice  a  quo,  giova  sottolineare,  con
specifico riferimento alla materia elettorale, quanto ben evidenziato
sul punto dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  1/2014.  Con
essa  la  Corte   costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 83, comma 1 n. 5 e comma 2 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361/1957 nonche' dell'art. 17, commi 2
e 4 del decreto legislativo n. 533/1993 e degli articoli 4, comma 2 e
59 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  361/1957  nonche'
dell'art. 14, comma 1 del decreto legislativo n. 533/1993 nella parte
in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza per  i
candidati. In particolare per la Corte il premio di maggioranza  come
gia' previsto dalla normativa nota come «Porcellum»  «e'  foriero  di
una  eccessiva   sovra-rappresentazione»   e   puo'   produrre   «una
distorsione», perche' «non impone il  raggiungimento  di  una  soglia
minima di voti alla lista». La norma «non e' proporzionata»  rispetto
all'obiettivo  perseguito,  quale  e'  quello  della  stabilita'  del
Governo del Paese e dell'efficienza dei processi decisionali. 
    Le linee guida che orienteranno la scrivente per  la  valutazione
circa la conformita' a Costituzione della nuova  normativa  delineata
dal legislatore sulle ceneri  del  «Porcellum»  si  rinvengono  nella
predetta  sentenza  dalla   Corte   costituzionale,   i   cui   passi
significativi di seguito sinteticamente si riportano.  In  essa,  per
quanto rileva nella presente sede, si legge: 
        che  «la  "determinazione  delle  formule   e   dei   sistemi
elettorali costituisce un ambito nel quale si esprime con un  massimo
di evidenza la politicita' della scelta legislativa" (sentenza n. 242
del 2012; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n. 107 del 1996)»; 
        che «Il principio  costituzionale  di  eguaglianza  del  voto
esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di
parita', in quanto «ciascun voto contribuisce  potenzialmente  e  con
pari efficacia alla formazione degli organi elettivi» (sentenza n. 43
del 1961), ma «non si  estende  [...]  al  risultato  concreto  della
manifestazione di volonta'  dell'elettore  [...]  che  dipende  [...]
esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario,  non  avendo
la Costituzione disposto al riguardo, ha  adottato  per  le  elezioni
politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli  esigenze  che
si ricollegano alle  consultazioni  popolari»  (sentenza  n.  43  del
1961).»; 
        che «Non c'e',  in  altri  termini,  un  modello  di  sistema
elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima
lascia alla discrezionalita' del legislatore la  scelta  del  sistema
che ritenga piu' idoneo ed efficace in  considerazione  del  contesto
storico.»; 
        che  «Il  sistema  elettorale,  tuttavia,   pur   costituendo
espressione dell'ampia discrezionalita' legislativa, non e' esente da
controllo,  essendo  sempre  censurabile  in  sede  di  giudizio   di
costituzionalita'   quando   risulti   manifestamente   irragionevole
(sentenze n. 242 del 2012 e n. 107 del 1996;  ordinanza  n.  260  del
2002)». 
    Si afferma che il principio costituzionale di  rappresentativita'
ed uguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008) deve essere
valutato unitamente all' «obiettivo di rilievo  costituzionale,  qual
e' quello della stabilita' del Governo del  Paese  e  dell'efficienza
dei  processi  decisionali  nell'ambito  parlamentare».  Al   giudice
costituzionale e' pertanto riservato lo scrutinio di ragionevolezza e
proporzionalita' al quale soggiacciono anche  le  norme  inerenti  ai
sistemi elettorali, rilevando come «In ambiti connotati  da  un'ampia
discrezionalita'  legislativa,  quale  quello  in   esame,   siffatto
scrutinio impone a questa Corte di verificare  che  il  bilanciamento
degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalita' tali da determinare il sacrificio o la compressione  di
uno di essi in misura  eccessiva  e  pertanto  incompatibile  con  il
dettato costituzionale.  Tale  giudizio  deve  svolgersi  «attraverso
ponderazioni relative alla proporzionalita' dei mezzi  prescelti  dal
legislatore nella sua insindacabile  discrezionalita'  rispetto  alle
esigenze  obiettive  da  soddisfare  o  alle  finalita'  che  intende
perseguire,  tenuto  conto  delle  circostanze  e  delle  limitazioni
concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130 del 1988).  Il  test  di
proporzionalita' utilizzato da  questa  Corte  come  da  molte  delle
giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme  con  quello  di
ragionevolezza, ed essenziale  strumento  della  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di  legittimita'
degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare  se
la norma oggetto di scrutinio,  con  la  misura  e  le  modalita'  di
applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al  conseguimento  di
obiettivi legittimamente  perseguiti,  in  quanto,  tra  piu'  misure
appropriate,  prescriva  quella  meno  restrittiva  dei   diritti   a
confronto  e  stabilisca  oneri  non   sproporzionati   rispetto   al
perseguimento di detti obiettivi.» 
    Da quanto sopra evidenziato  risulta  evidente  che  spetta  alla
Corte costituzionale  valutare  la  costituzionalita'  o  meno  della
soluzione in concreto adottata per il perseguimento  degli  obiettivi
di cui sopra, sotto il profilo del rispetto o meno «del  vincolo  del
minor  sacrificio  possibile   degli   altri   interessi   e   valori
costituzionalmente protetti». 
    Nella predetta  sentenza  n.  1/2014,  come  sopra  indicato,  la
soluzione fu che «detta  disciplina  non  e'  proporzionata  rispetto
all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione  della
funzione rappresentativa dell'assemblea, nonche' dell'eguale  diritto
di voto, eccessiva e tale da produrre un'alterazione  profonda  della
composizione della rappresentanza democratica, sulla quale  si  fonda
l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente.» 
    Alla scrivente quale giudice a quo spetta quindi  il  compito  di
verificare la rilevanza della dedotta questione di costituzionalita',
e la sua non manifesta infondatezza, in  particolare  verificando  se
nella legge sono presenti distorsioni di rappresentativita' del  voto
tali da richiedere (da parte della Corte costituzionale) un  giudizio
di bilanciamento con gli altri valori costituzionalmente  protetti  ;
compito specifico della Corte costituzionale come giudice delle leggi
risulta infatti quello di valutare la ragionevolezza della  soluzione
adottata dal legislatore e di assumere decisioni  che,  pur  muovendo
dal caso concreto, sono destinate poi ad esplicare  effetti  generali
e, dunque, a proiettarsi sull'intero ordinamento. 
    Cio' premesso nel merito parte attrice denuncia  l'illegittimita'
costituzionale di diverse disposizioni della legge elettorale  n.  52
del  6  maggio  2015  in  relazione  a  piu'  articoli  della   Carta
costituzionale. 
    Dette censure sono articolate in  quattordici  motivi;  il  primo
attiene al procedimento di formazione della legge di cui si discute e
viene trattato preliminarmente. 
    La disamina degli ulteriori  specifici  motivi  viene  fatta  non
secondo  l'ordine  di  proposizione,  ma  partendo  dal  cuore  delle
doglianze di parte attrice che sono  trattate  nei  motivi  quinto  e
sesto, che la  scrivente  ritiene  non  manifestamente  infondate;  a
seguire vi sara' la disamina dei motivi secondo, terzo, ottavo, nono,
ritenuti parimenti non manifestamente infondati;  il  motivo  settimo
viene  trattato  unitamente  all'ottavo  per   evidenti   motivi   di
connessione: da ultimo  sono  trattati  i  motivi  quarto  e  dodici,
esaminati congiuntamente per ragioni di chiarezza e l'undicesimo  che
il Tribunale ritiene essere manifestamente infondati, e da  ultimo  i
motivi 13 e 14, anch'essi ritenuti non fondati. 
    Con il primo motivo, i  ricorrenti  lamentano  che  la  legge  n.
52/2015 sia stata approvata  con  una  procedura  diversa  da  quella
imposta, per la legge elettorale, dalla Carta costituzionale all'art.
74, comma 4, rilevando come la citata legge n. 52/2015 essendo  stata
approvata mediante il procedimento disegnato dall'art. 116, comma  4,
del Regolamento della Camera con  l'apposizione  della  questione  di
fiducia (il che ha comportato la votazione per blocchi  di  articoli,
la decadenza degli emendamenti presentati e la riduzione dei tempi di
discussione), avrebbe violato l'art. 72, comma 4  della  Costituzione
che prevede che «la procedura normale  di  esame  e  di  approvazione
diretta da parte della camera e' sempre adottata per  il  disegni  di
legge in materia costituzionale ed elettorale ... ». 
    Detta  censura  a  parere  della  scrivente   e'   manifestamente
infondata. 
    I  ricorrenti  muovono  dal  presupposto  che  la  procedura   di
approvazione della legge con «riserva di  assemblea»  prevista  dalla
norma costituzionale citata sia, nella sostanza, incompatibile con la
procedura   prevista   dall'art.   116    Regolamento    Parlamentare
nell'ipotesi (non regolata direttamente, ne'  espressamente  prevista
dalla Costituzione) che il Governo ponga «la  questione  di  fiducia»
sulla procedura di approvazione di una legge sottoposta all'esame del
Parlamento quando questa legge, per la materia  che  e'  destinata  a
regolare, sia una «legge elettorale», intendendosi  per  tale  quella
che, come la legge n. 52/2015, detta le regole per la  configurazione
del sistema elettorale,  ossia  individua  le  «formule  dei  sistemi
elettorali» (cit. Sentenza Corte costituzionale n. 1/2014) attraverso
le quali si stabilisce in via generale  in  che  modo  «ciascun  voto
contribuisce ...  alla  formazione  degli  organi  elettivi»  (stessa
sentenza). 
    Tale asserita incompatibilita' come  gia'  ritenuto  da  tutti  i
Tribunali  che  si  sono  occupati  della  medesima  questione,   non
sussiste, per le ragioni che seguono. 
    In  via   preliminare,   tenuto   conto   delle   difese   svolte
dall'Avvocatura, si ritiene che  la  questione  come  prospettata  in
astratto sia ammissibile; e' la Corte costituzionale  nella  sentenza
9/1959 ad  evidenziare  che  «Nella  competenza  di  giudicare  sulle
controversie relative alla legittimita' costituzionale  delle  leggi,
attribuita alla Corte dall'art. 134 della Costituzione, rientra senza
dubbio ed anzi in primo  luogo  quella  di  controllare  l'osservanza
delle norme della Costituzione sul procedimento di  formazione  delle
leggi: in tal senso si e' gia' affermato l'orientamento  della  Corte
(sentenze n. 3 e 57 del 1957). L'art.  72  della  Costituzione,  dopo
aver  descritto  nel  primo  comma   il   procedimento   normale   di
approvazione di un disegno di legge, dispone, nel terzo comma, che il
regolamento "puo' altresi' stabilire in quali casi e forme l'esame  e
l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni anche
permanenti, composte in  modo  da  rispecchiare  la  proporzione  dei
gruppi  parlamentari",  ma  aggiunge,  nell'ultimo  comma,  che   "la
procedura normale di esame e di approvazione diretta da  parte  della
Camera  e'  sempre  adottata  per  i  disegni  di  legge  in  materia
costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa,
di  autorizzazione   a   ratificare   trattati   internazionali,   di
approvazione di bilanci e consuntivi"». 
    Nella stessa sentenza si legge che, avuto riguardo  al  caso  ivi
esaminato, « il giudizio se un disegno di legge  rientra  fra  quelli
per i quali l'ultimo comma dell'art. 72 della Costituzione  esige  la
procedura normale  di  approvazione,  escludendo  quella  decentrata,
involge  una  questione  di  interpretazione  di  una   norma   della
Costituzione che e' di competenza  della  Corte  costituzionale  agli
effetti  del  controllo  della  legittimita'  del   procedimento   di
formazione di una legge». 
    Da  quanto  sopra   risulta   evidente   che   per   interpretare
correttamente quanto disposto dal quarto comma dell'art. 72 Cost.,  e
quindi per individuare quale  e'  la  procedura  normale  rispetto  a
quella speciale, deve farsi riferimento all'intero disposto dell'art.
72 Cost. In particolare a parere della scrivente e' speciale  (o  non
normale) la procedura prevista dal comma 3 del medesimo articolo  che
prevede una procedura di approvazione decentrata e non plenaria. 
    L'art. 72 prevede: 
        al primo comma che : «ogni disegno di legge, presentato a una
Camera e, secondo le norme del  suo  regolamento,  esaminato  da  una
commissione e poi dalla Camera stessa, che lo  approva  articolo  per
articolo e con votazione finale»; 
        al terzo comma prevede che: «puo' altresi' stabilire in quali
casi e forme l'esame e  l'approvazione  dei  disegni  di  legge  sono
deferiti  a  commissioni  anche  permanenti,  composte  in  modo   da
rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.  Anche  in  tali
casi, fino al momento della sua approvazione definitiva,  il  disegno
di legge e' rimesso alla  Camera  se  il  Governo  o  un  decimo  dei
componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono  che
sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che  sia  sottoposto
alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto ... ». 
        il quarto comma prevede che: «la procedura normale di esame e
di approvazione diretta da parte della Camera e' sempre adottata  per
i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale ... ». 
    Secondo la prospettazione  degli  attori  la  procedura  speciale
prevista dall'art. 116 Regolamento della Camera sarebbe in  contrasto
con il suddetto quarto comma e non potrebbe quindi  essere  applicata
per la formazione della legge elettorale, non avendo il  Governo,  in
questo caso, la corrispondente prerogativa. 
    E' noto che per gli articoli 1, 2 e 4 della legge n.  52/2015  il
Governo ha effettivamente  posto  la  «questione  di  fiducia»  cosi'
adottando,  alla  Camera,  la  procedura  prevista  dal   Regolamento
Parlamentare art. 116 comma quarto che prevede, quanto alla procedura
per il «mantenimento di un articolo», che la  votazione  avvenga  sul
singolo  articolo  «dopo  che  tutti  gli  emendamenti   sono   stati
illustrati» e che, in caso di approvazione, «gli  emendamenti  stessi
si intendono respinti». 
    Secondo  la  medesima  disposizione,  quando  venga   posta   «la
questione di fiducia» la votazione avviene per appello nominale,  con
facolta'  per  un  solo  deputato  per  ciascun  gruppo  di   rendere
dichiarazioni di voto. 
    L'art. 116 Regolamento della Camera non indica, al quarto  comma,
la legge elettorale tra le materie per le quali  viene  espressamente
esclusa la possibilita' di adottare la descritta  procedura  di  voto
(ossia per le quali il  Governo  non  puo'  porre  la  «questione  di
fiducia»). 
    L'art. 49 dello stesso Regolamento  prevede,  invece,  che  sulle
leggi elettorali (cosi' come su altri «argomenti») la votazione debba
avvenire a scrutinio segreto ma solo  se  ne  venga  fatta  esplicita
richiesta. 
    L'art. 24, comma 12 stesso Regolamento prevede inoltre che quando
un progetto di legge debba essere  votato  a  scrutinio  segreto  non
possa essere oggetto di contingentamento  dei  tempi  (salvo  diversa
unanime delibera della Conferenza dei capigruppo). 
    Le norme regolamentari citate devono essere lette  congiuntamente
e, dal loro combinato disposto, si ricava,  per  quanto  concerne  il
voto di approvazione alla Camera di  una  legge  elettorale,  che  il
Governo puo' porre la questione di fiducia, e quindi  ricorrere  alla
procedura di  voto  con  le  modalita'  indicate  dall'art.  116  del
Regolamento per la quale, tuttavia,  potrebbe  essere  richiesta  (ma
cosi' non e' stato) la votazione a scrutinio segreto, invece che  per
appello nominale, con conseguente divieto, solo in tal caso, di  fare
ricorso alla fiducia. 
    Questa procedura non si discosta, in termini  sostanziali,  dalla
c.d.  procedura  «normale»  prevista  dall'art.  72  commi  1   e   4
Costituzione. 
    Infatti la  procedura  c.d.  «normale»  di  cui  al  primo  comma
prescrive che la votazione  avvenga  «articolo  per  articolo  e  con
votazione finale» da parte dell'assemblea in composizione plenaria (e
in cio' consiste il nucleo centrale della procedura normale, rispetto
all'esame deferito alle commissioni) con esame diretto e approvazione
del testo di legge la cui ratio e' quella di assicurare che su  certi
argomenti vi sia ampia e piena partecipazione alla  formazione  della
legge anche da parte delle minoranze. 
    Tale riserva di assemblea, nella sostanza, viene assicurata anche
dalla  procedura  di  cui  al  citato  art.  116  comma  quarto   del
Regolamento Parlamentare in quanto esso prevede che si proceda,  come
e' in effetti  avvenuto,  all'esame  del  singolo  articolo  e  degli
emendamenti,  con  votazione  sul  singolo  articolo  (con  decadenza
automatica  degli  emendamenti  solo  in  caso  di  voto   favorevole
all'articolo). 
    Le  ulteriori  questioni  di  costituzionalita'  sollevate  dagli
attori attengono tutte al meccanismo elettorale previsto dalla  legge
n. 52/2015; la disamina di essi, per la  centralita'  delle  relative
argomentazioni  e  per  i  riflessi  sugli  ulteriori  motivi,  viene
condotta a partire dai motivi quinto e sesto. 
    Con il quinto motivo si censurano gli articoli 1  lettera  f),  2
commi 1 e 25 capoverso «art. 83» legge n.  52/2015  (ossia  il  nuovo
testo  dell'art.  83  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
361/1957) in relazione agli articoli 1, 3, 48 secondo comma,  51,  56
primo comma e 122, 2 Costituzione. 
    Gli  attori,  in  sintesi,  denunciano  la  non   conformita'   a
Costituzione di tali disposizioni nella parte  in  cui  prevedono  di
attribuire il c.d. premio di maggioranza (attribuzione di 340  seggi)
alla lista che abbia ottenuto, su base nazionale, almeno il  40%  dei
voti validi e al contempo stabiliscono una soglia di  accesso  minima
del 3% di voti validi per accedere alla distribuzione dei seggi. 
    La  combinazione   di   tali   meccanismi   produrrebbe   effetti
irragionevolmente distorsivi dell'uguaglianza del voto, in quanto  si
finirebbe con l'attribuire irrazionalmente il premio di maggioranza e
verrebbero lesi anche i principi di rappresentanza democratica  e  di
divieto di mandato imperativo. 
    Sarebbe,  infatti,  sproporzionato  attribuire   il   premio   di
maggioranza, pari a oltre il 14% dei voti validi, a una lista che non
ha ottenuto la maggioranza dei consensi senza  neppure  tenere  conto
del fatto  che  la  lista  premiata  abbia  conquistato  seggi  nella
circoscrizione estero fino al numero di 12. 
    A  sostegno  della  tesi  della  assoluta  irrazionalita'   delle
disposizioni in esame i ricorrenti richiamano quanto  statuito  dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  1/2014  che,  quanto   al
parametro che anche il legislatore deve rispettare, ha ricordato  che
l'obiettivo, certamente di rilievo costituzionale, che e'  quello  di
garantire, con le norme  che  disegnano  il  sistema  elettorale,  la
stabilita'  di  Governo  e  l'efficienza  dei  processi   decisionali
nell'ambito  parlamentare  non  e'  tale  da  giustificare  qualsiasi
sacrificio di  altri  interessi  e  valori  che  pure  hanno  rilievo
costituzionale. 
    In quella occasione la  Corte  aveva  ritenuto  che  la  funzione
rappresentativa dell'assemblea parlamentare cosi' come  l'uguaglianza
del diritto di voto, pur potendo subire delle limitazioni in vista di
quel  valore,  dovrebbero  essere  sacrificati  nella  misura  minima
possibile,  per  non  incorrere  in  una  profonda  e   inammissibile
alterazione tra il voto espresso e la rappresentazione che si esso si
da' nella composizione assembleare. 
    Con il sesto motivo vengono censurati: l'art. 1, comma 1, lettera
f); art. 2, commi 1, 25 capoverso «art. 83» della legge n. 52/2015  e
93 comma 2 n. 5 decreto del Presidente della Repubblica  n.  361/1957
relativamente al turno di ballottaggio in relazione agli articoli  1,
3, 48 secondo comma, 49, 51, 56 primo e quarto comma, 67 Costituzione
e art. 3  del  Protocollo  addizionale  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
nella  parte  in  cui  disciplinano  il  turno  di   ballottaggio   e
l'attribuzione, all'esito, del premio di maggioranza. 
    Ritengono gli attori che il meccanismo di attribuzione del premio
di maggioranza al secondo turno di ballottaggio tra  liste  violi  il
principio di ragionevolezza e di uguaglianza in quanto esso  consente
l'attribuzione  del  premio  con  modalita'   che,   senza   adeguati
correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una forza  politica
addirittura in modo inversamente proporzionale al grado  di  consenso
ricevuto. 
    L'effetto fortemente  e  irragionevolmente  distorsivo  del  voto
espresso sarebbe dovuto al fatto che: 
    le disposizioni in esame attribuiscono il premio  di  maggioranza
sulla base dei  voti  validi  espressi  nel  turno,  senza  porre  un
correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un  quorum  minimo
al primo turno, con la conseguenza che potrebbe risultare  vincitrice
al ballottaggio una lista che in termini assoluti (per voti  espressi
in suo favore) e' in realta' minoritaria; 
    il voto dei cittadini che avessero scelto la lista  di  minoranza
(tale al primo turno) finirebbe, con l'esito del  secondo  turno,  ad
esprimere un voto di valore piu' che doppio rispetto al voto espresso
dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste  (nel  ricorso
viene fatto l'esempio della  lista  che  va  al  ballottaggio  avendo
ottenuto, al primo turno, il 25% dei voti, e che vincerebbe il  turno
di ballottaggio ottenendo 186 seggi  di  «premio»  che  le  farebbero
conseguire il 54% dei deputati; in tale situazione  le  altre  liste,
che  rappresenterebbero  il  75%  dei  voti  validi  espressi   nella
competizione, si vedrebbero attribuita la restante quota  minoritaria
di seggi, pari a 278); 
il che comporterebbe la violazione del principio di  uguaglianza  del
voto e di rappresentativita' democratica  dell'assemblea  eletta  con
tale sistema. 
    Come e' noto la Corte  costituzionale  e'  gia'  stata  investita
della questione di cui  ai  sopraindicati  motivi  dal  Tribunale  di
Messina, e limitatamente al sesto motivo, dal Tribunale di Torino. 
    Sul punto la scrivente fa  proprie  le  pregevoli  valutazioni  e
conteggi resi dal  Tribunale  di  Torino  (pur  arrivando  a  diversa
conclusione) in relazione alla disciplina di cui all'art. 1,  lettera
f), legge n. 52/2015,. Esso prevede che vengano attribuiti 340  seggi
(ossia il 55% del totale di 618 seggi, cui si devono aggiungere i  12
seggi riservati alla Circoscrizione estero) alla lista  che  ottiene,
su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi, con attribuzione in
via automatica di un premio del 15% a fronte  del  conseguimento  del
40% dei voti validi di lista. La percentuale di distorsione del  voto
espresso a favore della lista vincitrice risulta quindi pari a 1,375,
dato che il 55% dei seggi viene attribuito a chi ha ottenuto  il  40%
dei voti. Il voto «perdente» risulta invece avere un coefficiente  di
sotto rappresentazione pari allo 0,75, dato che il restante  45%  dei
seggi viene distribuito a chi si e' aggiudicato il restante  60%  dei
voti validi. Risulta quindi evidente che il voto unico in  entrata  a
favore della lista vincitrice per effetto del premio  di  maggioranza
risulta  effettivamente  sovra  rappresentato,  come  lamentano   gli
attori. Ipotizzando un caso  concreto  la  distorsione  e  quindi  la
compressione del diritto ad un voto diretto e' ancora piu'  evidente:
supponendo 30 milioni di voti validi, il 40% di voti raggiunti da una
lista corrisponde a 12 milioni di voti. Per  effetto  del  premio  di
maggioranza detta lista ha cosi' diritto  a  340  deputati  cioe'  un
deputato ogni 35.294 voti; il complesso delle forze di minoranza  che
hanno ottenuto nel complesso 18 milioni di voti (e che avrebbe  avuto
diritto in assenza del premio di maggioranza a 371 deputati)  con  il
premio di maggioranza nei ottiene nel complesso solo 278, il che vuol
dire che per eleggere un deputato occorrono 64.748 voti. A fronte  di
detta  evidente  distorsione,   la   attribuzione   del   premio   di
maggioranza, cosi' come previsto, che di per se' in astratto potrebbe
ritenersi ragionevole, richiede a parere della scrivente un ulteriore
vaglio da parte del  giudice  delle  leggi,  non  risultando  neppure
previsto alcun rapporto fra i voti ottenuti rispetto non gia' ai voti
validi ma al complesso degli aventi diritto al  voto;  ugualmente  la
previsione della clausola al 3% (percentuale di per  se'  ne'  troppo
alta ne' troppo bassa, tipica manifestazione  della  discrezionalita'
del legislatore) deve essere a parere della  scrivente  valutata  nel
complesso dell'intero sistema che  delinea  i  criteri  di  selezione
della  rappresentanza  politica  alla  Camera.  E'  la  stessa  Corte
costituzionale nella sentenza piu' volte sopra ricordata a  porre  in
evidenza  che  «il  sistema  elettorale,  tuttavia,  pur  costituendo
espressione dell'ampia discrezionalita' legislativa, non e' esente da
controllo,  essendo  sempre  censurabile  in  sede  di  giudizio   di
costituzionalita'   quando   risulti   manifestamente   irragionevole
(sentenze n. 242 del 2012 e n. 107 del 1996;  ordinanza  n.  260  del
2002).» 
    Cio' e' sufficiente a parere  della  scrivente  per  ritenere  la
questione di costituzionalita' come prospettata oltre che rilevante -
andando ad incidere sul diritto al voto  degli  attori  -  anche  non
manifestamente infondata; deve pertanto  essere  rimessa  alla  Corte
costituzionale la  valutazione  in  merito  alla  proporzionalita'  e
ragionevolezza della scelta operata dal legislatore  -  tenuto  conto
del disposto di cui all'art. 48 Cost. - per il  perseguimento  di  un
obiettivo di pari rango (governabilita' del paese). 
    Come ben evidenziato nella nota sentenza  n.  1/2014  l'assemblea
costituente non ha voluto imporre alcun sistema elettorale;  tuttavia
il  principio  costituzionale  di  uguaglianza  del  voto  esige  che
l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizioni di parita'. 
    Negli ambiti in cui e' ampia la discrezionalita' legislativa,  lo
scrutinio di proporzionalita' e ragionevolezza - cui  pure  le  norme
elettorali  devono   essere   sottoposte   -   riserva   alla   Corte
costituzionale la verifica che,  nel  bilanciamento  degli  interessi
costituzionalmente rilevanti (nel caso  di  specie  rappresentanza  e
governabilita',  che  secondo  la  Corte  costituisce  «un  obiettivo
costituzionalmente legittimo»), la soluzione prescelta non  determini
un  sacrificio  o  una  compressione  eccessiva  di  ciascuno   degli
interessi in gioco. Individuato nei  termini  di  cui  sopra  il  cd.
effetto distorsivo del voto diretto sara' la Corte a dover sottoporre
la norma oggetto di rilievo al cosiddetto stress test e verificare se
la disciplina de qua  sia  la  piu'  idonea  al  conseguimento  degli
obiettivi posti, in quanto meno compromissiva dei diritti/  obiettivi
a confronto e con oneri non sproporzionati rispetto al  perseguimento
di detti obiettivi. 
    Quanto al sesto  motivo  la  scrivente  condivide  le  esaurienti
argomentazioni svolte dal Tribunale di  Torino,  che  di  seguito  si
riportano. 
    Secondo gli attori il meccanismo di attribuzione  del  premio  di
maggioranza al secondo turno  di  ballottaggio  tra  liste  viola  il
principio di ragionevolezza e di uguaglianza in quanto esso  consente
l'attribuzione  del  premio  con  modalita'   che,   senza   adeguati
correttivi, rischiano di premiare in modo abnorme una forza  politica
addirittura in modo inversamente proporzionale al grado  di  consenso
ricevuto. L'effetto fortemente  e  irragionevolmente  distorsivo  del
voto espresso sarebbe dovuto al fatto che: 
    le disposizioni in esame attribuiscono il premio  di  maggioranza
sulla base dei  voti  validi  espressi  nel  turno,  senza  porre  un
correttivo quale, ad esempio, il raggiungimento di un  quorum  minimo
al primo turno, con la conseguenza che potrebbe risultare  vincitrice
al ballottaggio una lista che in termini assoluti (per voti  espressi
in suo favore) e' in realta' minoritaria; 
    il voto dei cittadini che avessero scelto la lista  di  minoranza
(tale al primo turno) finirebbe, con l'esito del  secondo  turno,  ad
esprimere un voto di valore piu' che doppio rispetto al voto espresso
dai cittadini che avessero, invece, votato altre liste  (nel  ricorso
viene fatto l'esempio della  lista  che  va  al  ballottaggio  avendo
ottenuto, al primo turno, il 25% dei voti, e che vincerebbe il  turno
di ballottaggio ottenendo 186 seggi  di  «premio»  che  le  farebbero
conseguire il 54% dei deputati); 
    in tale situazione alle altre liste,  che  rappresenterebbero  il
75% dei voti validi espressi nella competizione,  sarebbe  attribuita
la restante quota minoritaria di seggi, pari a 278). 
    Tutto  cio'  comporterebbe  la  violazione   del   principio   di
uguaglianza   del   voto   e   di   rappresentativita'    democratica
dell'assemblea eletta con tale sistema. 
    Si ritiene non manifestamente infondato il motivo nei termini che
seguono. 
    Come gia' sopra evidenziato, il legislatore,  nel  determinare  i
modi con i quali attribuire il premio di maggioranza, deve operare in
modo tale da contemperare in  modo  ragionevole  i  due  contrapposti
interessi di pari rilievo costituzionale che  sono  il  principio  di
rappresentativita' e il principio di governabilita'. 
    Conseguentemente, provvedendo sul testo della legge n.  270/2005,
la  Corte  costituzionale  ha  statuito  che:   «il   meccanismo   di
attribuzione  del  premio  di  maggioranza  prefigurato  dalle  norme
censurate, inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge
n. 270/2005, in quanto combinato con  l'assenza  di  una  ragionevole
soglia di voti minima per competere all'assegnazione  del  premio  e'
pertanto tale da determinare un'alterazione del circuito  democratico
definito dalla Costituzione, basato  sul  principio  fondamentale  di
uguaglianza (art. 48 secondo comma,  Cost.).  Esso  infatti  pur  non
vincolando il legislatore ordinario alla  scelta  di  un  determinato
sistema, esige che ciascun voto  contribuisca  potenzialmente  e  con
pari efficacia alla funzione degli organi elettivi ... ». 
    La dottrina ha ritenuto che il  principio  cosi'  espresso  abbia
portato all'individuazione di un limite costituzionalmente necessario
per la legittima attribuzione del premio di maggioranza, nel caso  in
cui venga adottata una legge  elettorale  che  intenda  garantire  la
governabilita' attraverso questo specifico meccanismo. 
    Tale  limite  intrinseco  dovrebbe  imporre  al  legislatore   di
adottare, in tali casi, tutti i correttivi  necessari  ad  assicurare
che il premio di maggioranza (che  consiste  nella  attribuzione  del
numero di  seggi  necessario  a  raggiungere,  secondo  la  legge  n.
52/2105,  il  55%  dei  seggi  alla  Camera)  vada  attribuito   alla
formazione che tale limite ha almeno raggiunto, se non  superato.  Il
quadro  complessivo  della  legge   n.   52/2015   prevede   che   la
governabilita' sia garantita, nel caso in cui nessuna delle liste che
partecipano alla competizione elettorale si aggiudichi la maggioranza
dei seggi alla Camera, con l'attribuzione del premio  di  maggioranza
alla formazione che abbia raggiunto almeno il  40%  dei  voti  validi
espressi. 
    Nel caso in cui nessuna lista raggiunga almeno il 40%  dei  voti,
e' previsto un ulteriore  turno  elettorale  strutturato  secondo  il
modello (tra i tanti possibili) del ballottaggio di tipo binario,  al
quale hanno diritto di partecipare le sole prime  due  liste  che  al
primo turno abbiano raggiunto il maggior numero di voti, con espresso
divieto di collegamento tra liste o apparentamento tra i due turni di
votazione, con esclusione della possibilita' di esprimere  preferenze
e con conteggio dei voti che tiene conto  soltanto  dei  voti  validi
espressi nel turno di ballottaggio. 
    Mentre nel primo turno all'elettore e'  consentito  esprimere  il
voto  per  la  formazione  politica  nella  quale   maggiormente   si
identifica, esprimendosi cosi' in astratto nella massima  ampiezza  -
fatte salve le considerazioni svolte in relazione al quinto motivo  -
il voto di rappresentanza, nell'eventuale turno  di  ballottaggio  di
lista (quale e' appunto quello previsto dalla  legge  in  esame)  gli
elettori  vengono  chiamati  a  esprimere   un   voto,   volto   alla
identificazione della lista che, tra le due  «superstiti»  del  primo
turno, sara' chiamata a governare, con evidente maggiore compressione
del voto di rappresentanza,  proprio  per  la  inevitabile  riduzione
delle opzioni tra le quali l'elettore puo' scegliere, oltre  che  per
l'espresso scopo delle tornata elettorale (nella quale, infatti,  non
si esprimono preferenze). In caso di ballottaggio, dunque, il  premio
di maggioranza verra' attribuito a chi  ha  ottenuto,  nella  seconda
tornata, la maggioranza dei voti validi  espressi  quale  conseguenza
diretta di una scelta degli elettori che e' pero',  in  questo  caso,
l'esito necessitato che deriva sia dalla limitazione dei soggetti nei
confronti dei quali si puo' esprimere  il  voto  (due  liste  essendo
espressamente vietato l'apparentamento o  la  coalizione)  sia  dalla
scelta di conteggiare detta  maggioranza  sui  voti  validi  espressi
nella tornata, senza dare alcun peso al raggiungimento,  ad  esempio,
di un determinato quorum di votanti tra gli aventi diritto. 
    Le  caratteristiche  del  turno  di  ballottaggio  delineate  dal
legislatore del 2015 hanno quindi indotto la  dottrina  a  riflettere
sul se si possa effettivamente dirsi rispettato  il  sopra  ricordato
principio  costituzionale  del  necessario  rispetto  di  un   limite
ontologico di rappresentanza del voto in  presenza  del  quale  possa
essere attribuito, a una sola lista, il premio di maggioranza,  senza
incorrere in censure di irragionevolezza e di  eccessiva  distorsione
del voto. Si sono formati due contrapposti filoni interpretativi;  un
primo filone evidenzia il fatto che il turno  di  ballottaggio  (come
delineato dalle norme in esame) non  puo'  essere,  per  definizione,
sospettato  di  violare  il  ricordato  principio  costituzionale  di
rappresentanza del voto in  quanto,  in  questa  tornata,  tutti  gli
elettori sono chiamati ad esprimere il loro voto  tra  due  liste  in
vista della governabilita' (piuttosto che  della  rappresentativita',
intesa come identificazione  tra  voto  espresso  in  favore  di  una
formazione piu' vicina alle idee dell'elettore) e  in  tal  caso,  il
premio di maggioranza viene attribuito a chi si conquista il consenso
del 50% + 1 dei voti  espressi  nel  turno  di  ballottaggio,  soglia
questa indubbiamente ragionevole per vedersi attribuire il premio  di
maggioranza  alla  Camera,   che   consentira'   quindi   del   tutto
legittimamente a quella  formazione  di  governare  avendo  il  pieno
controllo dell'assemblea. Un secondo  filone  evidenzia,  invece,  la
sostanziale  artificiosita'  della  maggioranza  del   50%   +1   che
scaturisce dal turno di ballottaggio come disegnato  dalla  legge  n.
52/2015, in quanto si tratterebbe di una  maggioranza  solo  virtuale
perche' priva,  se  non  adeguatamente  corretta,  di  una  effettiva
valenza rappresentativa del corpo elettorale, tale per cui finirebbe,
nonostante il dato formale, per non essere  rispettato  il  principio
immanente alla Costituzione, per cui il premio  non  potrebbe  essere
ragionevolmente attribuito alla formazione che non abbia ricevuto una
certa soglia «critica» di consensi. 
    Si ritiene senza dubbio piu' convincente questo seconda  corrente
di  pensiero,  che  fa  si  che  la  questione  come  posta  non  sia
manifestamente infondata; essa  si  fa  carico  di  dare  consistenza
effettiva al principio espresso dalla  Corte  costituzionale  secondo
cui,  senza  una  soglia  minima  di  voti  che  sia  espressione  di
rappresentativita' della forza politica, l'attribuzione ad  essa  del
premio di maggioranza non puo' dirsi rispettosa di tale principio. Il
legislatore si e' limitato, infatti,  a  prevedere  che  accedano  al
secondo turno le sole due liste piu' votate al primo  turno,  purche'
abbiano raggiunto almeno la soglia del 3% (ovvero del 20% nel caso di
liste  espressione  di  minoranze  linguistiche).  Cosi'  facendo  ha
implicitamente riconosciuto, da un lato,  che  sussiste  un  problema
della rappresentativita' delle  liste  ammesse  al  ballottaggio,  da
misurare  sulla  base  dei  voti  riportati   nella   prima   tornata
elettorale. D'altro lato pero' il  parametro  utilizzato  e'  quello,
diverso,  delle  soglie  minime  previste  in  generale  dalla  legge
elettorale in esame, per partecipare  alla  attribuzione  dei  seggi,
criterio adottato per scoraggiare una eccessiva «polverizzazione» del
voto. Nel valutare l'effettiva forza rappresentativa del 50% + 1  dei
voti espressi al  ballottaggio  si  deve  anche  considerare  che  e'
previsto  che  tale  maggioranza  venga  calcolata  sui  voti  validi
espressi,  il  che  finisce  per  non  dare  alcun  rilievo  al  peso
dell'astensione, che potrebbe  essere  anche  molto  rilevante  quale
prevedibile  conseguenza  della   radicale   riduzione   dell'offerta
elettorale nel ballottaggio. Il  sistema  del  ballottaggio,  quindi,
nonostante  si  tratti  di  una  tornata  di  votazioni  radicalmente
differente dal primo turno, mantiene la stessa base  di  calcolo  del
voto, non contiene regole che consentano di rafforzare l'elemento  di
rappresentativita'  del  voto  e,  anzi,  adotta   disposizioni   che
allontanano da questo obiettivo, dato che solo  per  questa  fase  il
legislatore pone un esplicito divieto di apparentamento o  coalizione
tra liste. 
    Tale divieto, evidentemente  espressione  di  un  favore  per  la
governabilita' (ritenendosi piu' stabile una maggioranza ottenuta  da
una sola lista, invece  che  da  una  coalizione  di  liste)  risulta
tuttavia irrazionale in quanto rende il voto  espresso  al  turno  di
ballottaggio eccessivamente sbilanciato in favore di tale  valore,  a
scapito  del   valore   -   di   rilievo   costituzionale   -   della
rappresentativita' del voto che viene, in  tal  modo,  eccessivamente
compresso proprio in vista della sua idoneita' a far conseguire  alla
lista vincitrice il controllo della Camera dei deputati. 
    Senza l'adozione di  meccanismi  che  garantiscano  una  adeguata
espansione della componente rappresentativa del  voto  (ovvero  senza
l'eliminazione del divieto di cui si  e'  detto)  l'attribuzione  del
premio  di  maggioranza  alla   sola   lista   che,   all'esito   del
ballottaggio, si aggiudichi il  premio  di  maggioranza  finisce  per
essere  svincolata  dalla  esistenza  di  parametri   oggettivi   che
consentano di affermare che la lista vincitrice  ha  ottenuto  quella
«ragionevole soglia di  voti  minima»  in  presenza  della  quale  e'
possibile la legittima attribuzione del premio di maggioranza. 
    Appare  allora  non  manifestamente  infondato   il   dubbio   di
conformita' a Costituzione espresso dagli attori, in  relazione  agli
articoli 1 secondo comma, 3, 48 secondo comma Costituzione, la'  dove
essi evidenziano, in  accordo  con  le  opinioni  espresse  da  molti
costituzionalisti, che l'attuale sistema, privo di  correttivi,  pone
il concreto rischio che il premio venga attribuito a  una  formazione
che e' priva di adeguato radicamento nel corpo elettorale. 
    L'attribuzione del premio di  maggioranza  e  la  disciplina  del
ballottaggio   vengono   quindi   posti   al   vaglio   della   Corte
costituzionale, unitamente alle questioni dibattute  dalle  parti  in
relazione ai motivi 2, 3, 8, 9 e 10. 
    Le osservazioni appena svolte permettono di valutare in un'ottica
complessiva alcuni dei  motivi  di  incostituzionalita'  rilevati  da
parte  attrice,  in  relazione  al  parametro  della  non   manifesta
infondatezza. 
    In particolare, il secondo ed il terzo motivo, oggetto di rilievo
da parte attrice, devono essere valutati come casi  limite  derivanti
dall'assegnazione del premio di maggioranza cosi' come previsto. 
    Con il secondo motivo parte attrice censura gli articoli 1, comma
1 lettera f) nella parte in cui prevede che «sono attribuiti comunque
340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale,  almeno  il  40%
dei voti validi» e 2 comma 25 capoverso  «art.  83»  con  particolare
riferimento ai commi: 1 numeri 5 e 6, 2, 3  e  4  in  relazione  agli
articoli 1 comma secondo e 61 Costituzione. 
    Sinteticamente,   parte   attrice    lamenta    la    difficolta'
interpretativa  nell'applicazione  delle  succitate  disposizioni  in
relazione all'assegnazione  del  cosiddetto  premio  di  maggioranza,
anche nel caso in cui due liste raggiungano al primo turno  oltre  il
40% dei voti validi. 
    Posto che nulla viene previsto espressamente dalla legge  per  il
caso di specie, parte attrice lamenta l'assurdita'  e  irrazionalita'
dell'interpretazione della norma che non attribuisca a nessuna  delle
due liste il premio di maggioranza; l'arbitrarieta'  della  soluzione
che attribuisca il premio di maggioranza alla  lista  che  risultasse
vincente anche per un solo voto (in quanto nulla prevede  la  legge);
l'arbitrarieta' e la non conformita' alla legge  dell'interpretazione
che proporrebbe l'indizione di un turno di ballottaggio  in  presenza
di due liste che hanno  superato  lo  sbarramento  del  40%  (essendo
invece  il  ballottaggio   previsto   solo   in   caso   di   mancato
raggiungimento di questa soglia). 
    Parte convenuta ritiene che in  ragione  del  disposto  letterale
dell'art. 83 comma 1 n.  2  n.  5  n.  6  comma  2  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361/57, come modificato dalla legge n.
52/2015 ed in  particolare  dalla  previsione  dell'assegnazione  del
premio di maggioranza «alla lista che ha ottenuto la  maggiore  cifra
elettorale  nazionale»,  il  premio  di  maggioranza  dovra'   essere
assegnato alla lista vincitrice, anche di un solo voto. 
    A  parere  della  scrivente  il  tenore  letterale  dell'articolo
consente un'unica interpretazione  della  norma,  non  essendo  state
positivamente previste e disciplinate le  ulteriori  ipotesi  di  cui
alle proposte interpretazioni  della  norma.  In  assenza  di  idonei
correttivi (quali ad esempio l'esclusione del premio  di  maggioranza
per l'ipotesi in cui siano due le liste che superano  la  soglia  del
40%, e la contestuale previsione del ballottaggio)  risulta  evidente
la compromissione del diritto al voto diretto per gli elettori  della
lista che, pur avendo ottenuto al primo turno il 40%  dei  voti,  sia
risultata seconda e quindi veda ridotto il proprio numero di deputati
per effetto della distorsione gia' trattata in  relazione  al  quinto
motivo. 
    Pertanto  non  appare  manifestamente  infondato  il  dubbio   di
legittimita' costituzionale in merito alla assegnazione del premio di
maggioranza di 340 seggi alla lista che  abbia  ottenuto  il  maggior
numero di voti, fra le due liste che abbiano superato al primo  turno
il 40 % di voti. 
    Con il terzo motivo, si  censurano  gli  articoli:  1,  comma  1,
lettera f), 2, comma 25, capoverso «art. 83» numeri 5 e 6, commi 2  e
5; capoverso «art. 83-bis» commi 1, numeri 1, 2 e 3 e 4» della  legge
n. 52/215 in relazione agli articoli 1, 3, 48,  49,  51  e  67  della
Costituzione. 
    Il terzo motivo e' relativo anch'esso ad un «caso limite»,  ossia
la circostanza in cui, in presenza di una forte dispersione del  voto
verso liste che non raggiungano la soglia del 3%, una  lista  ottenga
340 seggi al primo turno ma, non raggiungendo la percentuale del 40%,
sia  ugualmente  costretta  al  ballottaggio,  all'esito  del   quale
potrebbe risultare vincente la lista che al primo turno  aveva  preso
meno voti dell'altra. 
    A parere della scrivente, dover ricorrere al secondo turno  anche
nel caso in cui  una  lista  ottenga  il  numero  di  seggi  ritenuto
opportuno dal legislatore al fine di garantire la governabilita',  e'
contraddittorio  rispetto  allo   scopo   proclamato   dallo   stesso
legislatore.  Tale  contraddittorieta'  e'  un  altro   effetto   del
meccanismo di assegnazione del premio di maggioranza alla  lista  che
ottenga il 40% al primo turno, oggetto del rilievo di  illegittimita'
costituzionale, gia'  ritenuto  dalla  scrivente  non  manifestamente
infondato. 
    Per  tale  ragione,  anche  il  terzo  motivo  e'  ritenuto   non
manifestamente infondato. 
    Quanto ai motivi settimo e  ottavo,  relativi  al  sistema  delle
preferenze   e   dei   capolista   (che   pare   opportuno   trattare
congiuntamente), la scrivente fa propria e aderisce alla  valutazione
resa dal Tribunale di Torino, che ha  rigettato  il  settimo  motivo,
ritenendolo manifestamente insussistente,  mentre  ha  giudicato  non
manifestamente infondato l'ottavo motivo. 
    Con il settimo motivo parte attrice ha censurato gli articoli  1,
lettera b) per le parole « ... salvo i capilista  nel  limite  di  10
collegi» lettera c) per le  parole  «...  dapprima  i  capilista  nei
collegi, quindi ...»; art. 2, comma 26, capoverso «art. 84», comma 1,
per le parole «... a partire dal candidato capolista ...» e  comma  2
per le parole «... a partire dal candidato capolista» della legge  n.
52/2015 nonche'  dell'art.  59-bis,  commi  da  1  a  3  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 361/2015, come novellato dall'art.  2,
comma 21, legge n. 52/2015, ritenendo tali disposizioni lesive  degli
articoli  2,  48,  secondo  comma,  51,  primo  comma  e   67   della
Costituzione. 
    In sintesi, parte attrice  rileva  la  non  conformita'  di  tali
disposizioni alla Costituzione, in quanto consentono ad una categoria
di  candidati,  i   cosiddetti   «capolista»,   di   essere   eletti,
prescindendo da qualsiasi preferenza espressa dagli elettori. 
    Si  rileva,  come  gia'  osservato  dal   Tribunale   di   Torino
nell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale,  che  non  si
rinviene  una  ragione  di  sospetta  illegittimita'   costituzionale
dell'art. 59-bis decreto del Presidente della  Repubblica  n.  361/57
secondo comma, dato che la  norma  in  esso  contenuta  si  limita  a
contenere indicazioni volte a rendere inequivoco che il voto espresso
con una certa modalita' (voto espresso con un segno tracciato «su una
linea posta a destra del contrassegno, senza tracciare un  segno  sul
contrassegno  della  lista  medesima»)  deve  intendersi  come   voto
validamente espresso in  favore  della  lista;  si  evince  che  tale
disposizione non riguarda lo «statuto» dei  capi  lista,  oggetto  di
rilievo da parte di parte attrice. 
    Con l'ottavo motivo, parte attrice censura  la  non  conformita',
rispetto agli articoli 48 e 51 Costituzione delle disposizioni di cui
all'art.  2  comma 11  della  legge  n.  52/2015  «sulle  candidature
multiple», nella parte in cui consentono al  candidato  capolista  in
piu' collegi «di optare ad elezione avvenuta  con  successo,  per  un
collegio piuttosto che per un altro», senza  dare  indicazioni  sulle
modalita' di esercizio di detta opzione e  cosi'  influendo  in  modo
arbitrario e incisivo sul voto di preferenza espresso dagli  elettori
a favore di un candidato che, senza l'opzione del capolista, verrebbe
senz'altro eletto avendo raggiunto il numero maggiore  di  preferenze
rispetto agli altri competitori della sua stessa lista,  rendendo  in
tal modo imprevedibile la significativita' della preferenza  espressa
dagli elettori. 
    Si fa propria la precisazione  svolta  dal  Tribunale  di  Torino
nell'ordinanza di rimessione alla  Corte  costituzionale,  in  merito
alle disposizioni oggetto di rilievi da parte  attrice.  Il  suddetto
Tribunale ha osservato che parte attrice  non  ha  indicato  in  modo
completo le norme che comporterebbero una lesione del diritto di voto
uguale e libero. Infatti, l'art. 2, comma 11 regola il c.d.  «sistema
delle candidature multiple»,  ma  nulla  dice  riguardo  alla  scelta
dell'eletto nell'ambito di tale sistema. La disposizione della  legge
n. 52/2015 che attiene alla liberta' (assoluta)  di  opzione  per  il
candidato plurieletto di scegliere, tra i vari collegi nei quali egli
puo' aspirare all'elezione, va invece rinvenuta nel successivo  comma
27 del medesimo art. 2 cit. che, nel mantenere ferma la  disposizione
contenuta nell'art. 85, comma 1  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361/1957, apporta ad essa esclusivamente le  variazioni
testuali necessarie ad armonizzarla alle  altre  modifiche  apportate
dalla legge. Si  puo'  pertanto  ritenere  che  parte  attrice  abbia
lamentato l'illegittimita' costituzionale di  tutte  le  disposizioni
richiamate, nel loro  combinato  disposto,  che  consentono  ai  soli
candidati capilista di candidarsi in piu' collegi (fino ad un  limite
massimo di 10 come si e' detto in precedenza) ed attribuiscono  loro,
nel caso conseguano la proclamazione  in  piu'  di  un  collegio,  di
optare senza  alcun  vincolo  per  il  collegio  nel  quale  vogliono
ricollegare la loro elezione. 
    Al fine di vagliare la  non  manifesta  infondatezza  dei  motivi
settimo e ottavo,  e'  opportuno  ripercorrere  l'iter  argomentativo
svolto dalla Corte costituzionale nella  sentenza  n.  1/2014,  nella
quale e' stato rilevato  che  la  liberta'  di  voto  era  fortemente
compromessa dalle  disposizioni  della  legge  elettorale  cosiddetta
«Porcellum», posto che  il  cittadino  era  «chiamato  a  determinare
l'elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco
spesso assai lungo (nelle circoscrizioni piu' popolose) di candidati,
che difficilmente conosce. Questi,  invero,  sono  individuati  sulla
base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell'ordine  di
presentazione, si' che anche l'aspettativa relativa  all'elezione  in
riferimento allo stesso ordine di lista puo'  essere  delusa,  tenuto
conto della possibilita' di candidature  multiple  e  della  facolta'
dell'eletto di optare  per  altre  circoscrizioni  sulla  base  delle
indicazioni del partito. 
    In  definitiva,  e'  la  circostanza  che  alla   totalita'   dei
parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno  della
indicazione personale dei cittadini,  che  ferisce  la  logica  della
rappresentanza consegnata nella Costituzione». 
    Da tali principi si desume, a parere della scrivente, che non  e'
costituzionalmente illegittima di  per  se'  la  previsione  di  capi
lista, quanto l'impossibilita' di scegliere alcuno  dei  parlamentari
eletti, come previsto dal cosiddetto «Porcellum»; mentre la legge  n.
52/2015 permette di esprimere  preferenze,  risultando  «bloccati»  i
soli capi lista, senza escludere l'esistenza di un effettivo rapporto
di rappresentanza tra elettori ed eletti, potendosi esprimere fino  a
due preferenze ed essendo previste  ulteriori  disposizioni  volte  a
salvaguardare  la  parita'  di  genere  nell'accesso   alle   cariche
elettive. 
    Come condivisibilmente osservato dal Tribunale  di  Torino  nella
succitata ordinanza, le preferenze espresse non sono  vanificate  dal
meccanismo  dei  c.d.  «capilista  bloccati»  che  permette  la  loro
elezione per primi rispetto ai candidati che  li  seguono  in  lista,
poiche' in caso di  candidature  plurime,  il  capolista  dovra'  poi
optare per un solo collegio, cosi'  dando  luogo  alla  elezione  del
candidato non capolista negli altri collegi. 
    Per tale ragione si ritiene manifestamente infondato  il  settimo
motivo di prospettata illegittimita' costituzionale. 
    Quanto all'ottavo motivo, in ossequio alla pronuncia sopraccitata
della Corte costituzionale  n.  1/2014,  a  parere  della  scrivente,
sembra riconosciuta come valore di rango  costituzionale,  in  quanto
connesso alla liberta' di voto, libero e uguale statuito dalla  Carta
costituzionale, la tutela della legittima  aspettativa  dell'elettore
di influire,  con  la  propria  preferenza  espressa,  sull'effettiva
elezione del candidato prescelto. 
    La scrivente ritiene di condividere quanto gia'  evidenziato  dal
Tribunale di Torino, nella  predetta  ordinanza  di  rimessione  alla
Corte  costituzionale,  secondo  cui  l'ottavo  motivo   non   appare
manifestamente  infondato,  limitatamente   alla   disposizione   che
consente al capolista di operare la scelta del collegio  senza  alcun
tipo di vincolo; mentre il motivo non appare fondato nella  parte  in
cui viene censurato in se' il sistema della candidatura  «bloccata  o
multipla». 
    Infatti, riconosciuta la non irragionevolezza  della  candidatura
multipla  per  una  sola  categoria  di  candidati  (i  capilista)  e
sottratti questi ultimi al voto di preferenza da parte dell'elettore,
e' necessario prevedere un meccanismo di scelta che operi nel caso in
cui il candidato capolista risulti eletto in piu'  collegi.  Ritenuto
manifestamente infondato il rilievo di illegittimita'  relativo  alla
candidatura  di  capi  lista  bloccati,  che  abbiano   facolta'   di
candidarsi in piu' collegi, si manifesta, ad avviso della  scrivente,
il dubbio di costituzionalita' relativamente alla scelta del collegio
da parte del capolista e le modalita' disegnate dal  legislatore  per
il suo esercizio. Come  correttamente  osservato  nell'ordinanza  del
Tribunale di Torino  infatti,  l'assenza  di  qualsiasi  criterio  di
scelta a cui il capolista si ispiri rende impossibile per  l'elettore
effettuare valutazioni prognostiche sulla «utilita'» del suo voto  di
preferenza, dato in favore di un candidato che faccia  parte  di  una
lista con capo lista candidato anche  in  altri  collegi.  L'elettore
infatti non potra' effettuare alcuna previsione  circa  le  modalita'
con cui, all'esito del voto, quel capolista esercitera', in  caso  di
vittoria  plurima,  la  sua  scelta.  Ne'  il  contenuto   inequivoco
dell'art. 85 cit. consente di  intravedere  una  interpretazione  che
superi tali rilievi. 
    In  conseguenza  di  tali  osservazione,   deve   ritenersi   non
manifestamente infondato l'ottavo motivo dedotto da parte attrice. 
    Quanto al nono motivo  -  con  cui  parte  attrice  ha  lamentato
l'illegittimita' costituzionale degli articoli  2,  comma  25,  della
legge n. 52/2015, art. 83, comma  3,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361/1957, per violazione dell'art.  56,  secondo  comma
Costituzione, articoli 2, commi 29,  30,  31  e  32  della  legge  n.
52/2015, in relazione agli articoli 3, 48 e 51 Costituzione oltre che
dell'art. 1,  comma  1,  lettera  f)  legge  n.  52/2015  -  si  deve
preliminarmente dar conto che all'udienza del 27 ottobre  2016  parte
attrice ha illustrato una nuova prospettazione del  medesimo  motivo,
fondato tuttavia sui medesimi fatti dedotti nell'atto di citazione. 
    Parte attrice  in  particolare  ha  osservato  che,  quanto  alla
regione Trentino-Alto Adige, sarebbe leso il diritto di voto libero e
uguale,  in  caso  di  assegnazione  dei  tre   seggi   di   recupero
proporzionale ad una lista non apparentata con alcuna lista nazionale
o espressione della minoranza linguistica vincitrice nella suindicata
regione.   Cio'   comporterebbe   infatti   una   violazione    nella
rappresentativita' della minoranza nazionale, rispetto alla minoranza
linguistica assegnataria dei tre seggi di recupero proporzionale. 
    Si puo' assumere che le potenziali lamentate  conseguenze  lesive
subite  dalle  minoranze  nazionali  nei  confronti  della  minoranza
linguistica non apparentata ad alcuna lista nazionale  o  alla  lista
vincitrice nella regione rappresentino uno  degli  ulteriori  effetti
indiretti del meccanismo di doppio turno, funzionale all'assegnazione
del premio di maggioranza, il cui rilievo di  incostituzionalita'  e'
gia' stato ritenuto non  manifestamente  infondato  dalla  scrivente,
posto che il recupero proporzionale potenzialmente lesivo delle liste
di minoranza nazionali e' necessario per via della istituzione  degli
otto collegi uninominali che vengono assegnati fin dal  primo  turno,
senza che il ballottaggio possa incidervi. 
    Deve altresi' osservarsi che il  meccanismo  descritto  da  parte
attrice, in relazione al caso del mancato apparentamento della  lista
di minoranza con liste nazionali o  con  la  lista  vincitrice  nella
regione Trentino-Alto Adige, appare determinare un'incidenza del voto
in uscita di gran lunga superiore al corrispettivo  voto  reso  dagli
elettori nei confronti di una lista nazionale di minoranza. 
    Per queste ragioni, il motivo  nono  appare  alla  scrivente  non
manifestamente infondato. 
    Al contrario la scrivente ritiene non fondati i motivi 4 -  10  -
11 - 12 - 13 e 14 (oltre al primo e settimo di cui e' gia' detto); 
    Il  quarto  motivo   solleva   la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 1 e  2  della  legge  n.  52/2015,  per
violazione  dell'art.  138  Cost.  sul  procedimento   di   revisione
costituzionale. 
    Parte attrice sostiene l'incompatibilita' della legge  elettorale
con la forma di Governo parlamentare vigente in  Italia  a  norma  di
Costituzione, perche' il leader della lista vincente  indicato  sulla
scheda elettorale risultera' essere il Presidente del  Consiglio  dei
ministri, a detrimento delle prerogative  di  nomina  del  Presidente
della Repubblica.  Sostanzialmente,  il  meccanismo  delineato  dalla
nuova legge elettorale si tradurrebbe quasi  in  un'elezione  diretta
del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  adozione  di  un
mutamento della forma di Governo lesiva della procedura di  revisione
ex art. 138 Cost. 
    Parte  convenuta  contesta  questa  ricostruzione   del   sistema
elettorale introdotto dalla nuova legge, posto che l'art. 14-bis  del
decreto del Presidente della Repubblica  n.  361/57,  come  riscritto
dalla  legge  n.  52/2015,  non  ha  modificato  le  prerogative  del
Presidente della Repubblica come individuate  dall'art.  92,  secondo
comma Cost., rilevando inoltre come sulla scheda elettorale non viene
riportato il nome del  capo  della  forza  politica,  dovendo  essere
stampati, al primo turno, accanto ai contrassegni di  lista,  solo  i
nominativi dei  capolista  nel  singolo  collegio  plurinominale;  al
ballottaggio, invece, sulla scheda sono presenti solo i  contrassegni
delle liste ammesse. 
    Da queste premesse si evince l'opportunita' logica e giuridica di
trattare tale motivo congiuntamente  al  dodicesimo  motivo,  con  il
quale   gli   attori   sollevano   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 8 della legge n.  52/2015  e  degli
articoli 14 e 14-bis del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
361/1957  per  violazione  dell'art.  92  Cost.,  essendo   anch'esso
riferito  alla  lesione  delle  prerogative  del   Presidente   della
Repubblica in merito alla nomina del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ed al conseguente mutamento della forma di Governo delineata
dalla  Costituzione,  che  si   convertirebbe   da   parlamentare   a
presidenziale. 
    In  sede  di  motivazione  del  dodicesimo  motivo,  gli   attori
rinnovano le doglianze sollevate in relazione al quarto, evidenziando
la  «presidenzialita'»  di  un'elezione  in  cui  il   leader   della
coalizione politica  di  maggioranza  diventa  il  capo  della  forza
politica, specialmente in caso di ballottaggio, in cui la scelta  tra
una  delle  due  liste  in  corsa  per  il  premio   di   maggioranza
sostanzialmente si traduce in una scelta  tra  l'uno  o  l'altro  dei
candidati; con cio' risultando  una  mera  «formalita'»  il  disposto
dell'art. 14-bis, comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 361/57 (come sostituito  dall'art.  2,  comma  8  della  legge  n.
52/2015), ai sensi del quale «Restano ferme le prerogative  spettanti
al Presidente della Repubblica previste dall'art. 92, secondo  comma,
della  Costituzione».  Infatti,  nel  quadro  delineato  dalla  nuova
normativa, il Capo dello Stato non puo' far altro che  prendere  atto
del  risultato  del  primo  turno  o   del   ballottaggio.   A   cio'
aggiungendosi che il programma elettorale  di  cui  all'art.  14-bis,
comma 1 decreto del Presidente della Repubblica n.  361/1957  non  e'
altro se non il programma del partito che quella lista (o  coalizione
di liste) esprime («Contestualmente al deposito del  contrassegno  di
cui all'art. 14, i partiti o i gruppi  politici  organizzati  che  si
candidano a governare depositano il programma  elettorale  nel  quale
dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo
della forza politica. [...]»). 
    Parte convenuta, nel contrastare  dette  difesa,  ha  evidenziato
inoltre la legittimita' della scelta, operata da una o piu' liste, di
inserire all'interno del proprio contrassegno il nome del capo  della
forza politica.  In  tal  modo  «la  lista  indicherebbe  al  proprio
elettorato - in un'ottica di trasparenza democratica - la persona  da
proporre (in caso di vittoria) al Capo di Stato per  il  conferimento
del mandato a formare il nuovo Governo». 
    In primis, la scrivente si associa ai dubbi  circa  la  rilevanza
dei motivi in esame manifestata dal Tribunale di  Torino  nella  gia'
citata ordinanza 5 luglio 2016, posto che, per  come  prospettati,  i
motivi  non  sono  riconducibili  alle  modalita'  costituzionalmente
tutelate di esercizio del voto libero ed eguale  ex  art.  48  Cost.,
riguardando invece la prerogativa di nomina del Capo del Governo  che
l'art.  92  secondo  comma  Cost.  conferisce  al  Presidente   della
Repubblica: «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente  del
Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». 
    Infatti,  occorre  ricordare   che   l'oggetto   della   presente
controversia si sostanzia nell'accertamento  del  diritto  di  votare
secondo  Costituzione  e  l'asserita  violazione  della   prerogativa
presidenziale  non  influisce  sull'esercizio  di  tale  diritto   in
pregiudizio agli elettori. Piuttosto, se si  ritenesse  concretamente
verificata la circostanza di una elezione diretta del Presidente  del
Consiglio  da  parte  del  corpo  elettorale,  questa   comporterebbe
decisamente un ampliamento delle prerogative dei  votanti  e  non  un
loro restringimento. 
    In ogni caso, la questione di legittimita'  costituzionale  degli
articoli 1 e 2 della legge n. 52/2015, per violazione  dell'art.  138
Cost. nonche' dell'art. 2, comma 8 della legge  n.  52/2015  e  degli
articoli 14 e 14-bis del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
361/1957  per  violazione  dell'art.  92  Cost.   e'   manifestamente
infondata. Le norme in  questione  non  introducono,  infatti,  alcun
automatismo tale da imporre al Presidente della Repubblica un vincolo
alla nomina a Presidente del Consiglio dei ministri  del  capo  della
coalizione risultata vittoriosa al primo turno o al ballottaggio, con
cio' rimanendo impregiudicate le  prerogative  del  Presidente  della
Repubblica stesso in tal senso; inoltre, non sussiste una  violazione
dell'art. 138 Cost., con  conseguente  salvaguardia  della  forma  di
Governo parlamentare. 
    Con il decimo  motivo  -  con  cui  si  censura  l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 1, comma 1) lettera a), e) e i) e  art.
2 commi 1, 2, 3, 4, 5, 25 capoverso «art. 83» commi 1  numeri  3,  6,
29, 30, 31 e 32 della legge n. 52/2105 in relazione agli articoli  1,
2, 3, 6,  10,  11,  48,  49,  51,  117,  secondo  comma,  lettera  f)
Costituzione, nella parte in cui non tutelano  in  modo  effettivo  e
attivo le altre minoranze linguistiche riconosciute (diverse cioe' da
quelle francofone e germanofone e ladine residenti in VDA e TAA)  per
le quali non sono previste  disposizioni  specifiche  idonee  a  dare
effettiva  rappresentativita'  agli  elettori  appartenenti  a   tali
minoranze. In particolare di  ritiene  che  la  disposizione  di  cui
all'art. 83, comma 1, numero 3 non sarebbe  idonea  a  superare  tale
mancanza di effettiva tutela in quanto il descritto peculiare sistema
di conteggio dei voti si applicherebbe solo per  le  liste  che  sono
espressione di minoranze linguistiche che risiedono nelle  regioni  a
statuto speciale e solo a  condizione  che  il  relativo  statuto  ne
preveda in modo specifico una particolare tutela. 
    Posto  che  non  e'  stata   dedotto   in   atto   di   citazione
l'appartenenza ad una particolare minoranza  linguistica  di  nessuno
degli attori, in punto rilevanza,  a  parere  della  scrivente,  sono
condivisibili le osservazioni gia' svolte  dal  Tribunale  di  Torino
nella ordinanza piu' volte citata, che sul punto  precisa  che  parte
attrice si dimostra portatrice «di un interesse mediato e  quindi  di
mero fatto, ad ottenere un giudizio di legittimita' costituzionale di
norme che tutelano interessi costituzionali dei quali essi  non  sono
titolari ma solo portatori quali  cittadini  italiani,  e  non  quali
elettori interessati dalla applicazione  proprio  delle  disposizioni
censurate». 
    Per tali ragioni, il decimo motivo difetta del presupposto  della
rilevanza; peraltro si condividono le considerazioni contenute  nella
piu' volte citata ordinanza del Tribunale di Torino, alle quali si fa
rinvio, che ha ritenuto  in  ogni  caso  anche  la  infondatezza  del
motivo. 
    Con l'undicesimo motivo, gli attori censurano l'art. 2, commi  10
e 36 della legge n. 52/2015 e l'art. 18-bis, commi 1 e 2 del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 361/57 inerenti l'esenzione  dalla
raccolta delle firme per violazione degli articoli 3,  48,  49  e  51
Cost., articoli 24 e  113  Cost.  nonche'  dell'art.  13  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali. 
    In violazione agli articoli della Costituzione che sanciscono  il
principio di uguaglianza, il diritto di voto libero ed uguale nonche'
il diritto di associarsi in partiti e quello all'accesso agli  uffici
pubblici e  alle  cariche  elettive  in  condizioni  di  parita',  la
normativa censurata viene considerata discriminatoria  nei  confronti
dei nuovi soggetti politici  rispetto  ai  gruppi  gia'  presenti  in
Parlamento,  oltre  tutto  attraverso   l'applicazione   di   criteri
disomogenei  (collegamento   con   gruppi   parlamentari   costituiti
all'inizio della legislatura in entrambe le  Camere;  presenza  anche
con un solo eletto nel  Parlamento  europeo;  in  caso  di  minoranza
linguistica, presenza anche con un  solo  eletto  in  una  delle  due
Camere). Evidenziano inoltre che una deroga della disciplina  e'  poi
prevista nel caso di gruppi parlamentari costituiti alla data del  1°
gennaio 2014, per i quali non si richiede il rapporto con le liste  e
con i gruppi eletti nel  2013.  Tale  deroga  viene  da  essi  attori
ritenuta  ingiustificata  sotto  il  profilo   sia   soggettivo   che
oggettivo, posto che le forze politiche gia' presenti  in  Parlamento
risultano essere gia' avvantaggiate in caso  di  nuova  elezione,  in
ragione della visibilita' ottenuta, dei finanziamenti delle  campagne
elettorali  e  della  maggiore  disponibilita'  di  soggetti  per  la
raccolta delle firme e la presentazione delle liste. 
    Sotto un altro profilo, la nuova  normativa  risulterebbe  lesiva
degli articoli 24 e 113 della Costituzione, inerenti  il  diritto  di
tutela giurisdizionale genericamente riconosciuta e, soprattutto,  la
tutela dei cittadini nei confronti  della  pubblica  amministrazione,
nonche' dell'art. 13 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, con il quale  si
stabilisce che  «ogni  persona  i  cui  diritti  e  le  cui  liberta'
riconosciuti nella  presente  Convenzione  siano  stati  violati,  ha
diritto ad un ricorso  effettivo  davanti  ad  un'istanza  nazionale,
anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono
nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali».  In  Italia,  infatti,
non si e' data attuazione ai principi dell'art. 44, comma 2,  lettera
d) della legge n. 69/2009 (Art. 44 Delega al Governo per il riassetto
della disciplina del processo amministrativo, comma  2,  lettera  d):
«razionalizzare  e  unificare  le  norme  vigenti  per  il   processo
amministrativo   sul   contenzioso    elettorale,    prevedendo    il
dimezzamento,  rispetto  a  quelli  ordinari,  di  tutti  i   termini
processuali, il deposito  preventivo  del  ricorso  e  la  successiva
notificazione in entrambi i gradi  e  introducendo  la  giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo nelle  controversie  concernenti
atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per  il
rinnovo della Camera dei deputati  e  del  Senato  della  Repubblica,
mediante la previsione di un rito abbreviato in Camera  di  consiglio
che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili  con
gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale  e  con  la
data  di  svolgimento  delle  elezioni»)   che   avrebbe   consentito
l'impugnazione delle operazioni elettorali preparatorie, tra le quali
le ammissioni e le esclusioni di liste per il Parlamento. Non essendo
stata data attuazione al  disposto  della  norma,  la  competenza  in
materia e' ancora affidata alla Camera, previa istruttoria e proposta
di decisione della Giunta delle elezioni, cioe'  a  soggetti  che  si
trovano in una situazione di conflitto  di  interessi.  Pertanto,  in
materia elettorale, ai cittadini italiani  non  e'  dato  un  rimedio
effettivo ex art. 13 Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Parte convenuta, nel respingere dette censure,  contesta  che  la
presunta   mancata   attuazione,   con   il   codice   del   processo
amministrativo (decreto legislativo n. 104/2010), della delega di cui
all'art. 44 legge n. 69/2009 - che avrebbe consentito di ricorrere al
giudice amministrativo ove una lista fosse esclusa perche'  priva  di
sottoscrizioni - sia attinente alle disposizioni  sul  nuovo  sistema
elettorale introdotte dalla legge n.  52/2015,  evidenziando  inoltre
che, in ogni caso, avverso le decisioni di esclusione delle liste per
le elezioni politiche - emesse dagli Uffici centrali circoscrizionali
retti  da  magistrati  -  e'  ammesso  ricorso  all'Ufficio  centrale
nazionale, composto da 5 magistrati della Corte di cassazione. 
    Anche l'undicesimo motivo  e'  carente  sotto  il  profilo  della
rilevanza. Le disposizioni censurate condizionano all'ottenimento  di
un determinato numero di consensi la possibilita' di presentare liste
per la partecipazione alla competizione elettorale. Pertanto,  queste
previsioni potrebbero al piu'  considerarsi  lesive  del  diritto  di
elettorato  passivo,  limitando  la  possibilita'  per  i  gruppi  di
cittadini di presentare legittimamente le liste, con  la  conseguenza
che  alcuni  di  questi  risulterebbero  esclusi  dalla  competizione
elettorale, e non della posizione di  elettori  attivi  fatta  valere
dagli attori nel presente giudizio che, come gia'  ricordato,  ha  ad
oggetto l'accertamento del diritto di  votare  secondo  Costituzione,
asseritamente  leso  dalla  normativa  introdotta  con  la  legge  n.
52/2015. Come osservato dal Tribunale di Torino nell'ordinanza del  5
luglio 2016 «le norme in esame produrrebbero, al piu', una violazione
mediata del diritto di voto attivo, dato che esse non precluderebbero
ne'  l'esercizio  del  diritto  di  voto  in  quanto  tale   ne'   ne
distorcerebbero il risultato in uscita per effetto di  meccanismi  di
conteggio, ma ne limiterebbero la possibilita' di  scelta,  riducendo
l'ampiezza dell'offerta elettorale». 
    Inoltre, inconferente  rispetto  all'oggetto  delle  disposizioni
impugnate e' anche la censura mossa alle disposizioni  in  esame  per
violazione dell'art. 13 Convenzione europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali,  per  la  mancata
previsione  di  un  rimedio   giurisdizionale   atto   a   consentire
l'impugnazione delle  operazioni  elettorali  preparatorie,  come  le
ammissioni e le esclusioni delle liste. 
    Nel merito, la sollevata questione di legittimita' costituzionale
in relazione all'art. 2, commi 10 e  36  della  legge  n.  52/2015  e
all'art. 18-bis, commi  1  e  2  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 361/57 per violazione degli articoli 3,  48,  49  e  51
Cost., articoli 24 e  113  Cost.  nonche'  dell'art.  13  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali appare manifestamente infondata. 
    L'apposizione di un limite in sede di presentazione  delle  liste
che possano partecipare alla competizione elettorale non deve  essere
vista come un ostacolo alla nascita e all'affermarsi di  nuove  forze
politiche; essa, al  contrario,  e'  da  ritenersi  ragionevole,  ben
potendo il  diritto  dei  cittadini  di  «associarsi  liberamente  in
partiti per  concorrere  con  metodo  democratico  a  determinare  la
politica nazionale» sancito dall'art. 49 Cost. essere bilanciato  con
il valore, altrettanto importante, della governabilita', al  fine  di
evitare che l'offerta  elettorale  sia  eccessivamente  variegata,  a
causa di un accesso illimitato  e  incondizionato  alla  competizione
elettorale, con conseguente eccessiva frammentazione del voto. 
    Inoltre, i criteri di selezione preventiva come configurati dalla
legge n. 52/2012 non appaiono neanche discriminatori a  vantaggio  di
quei  partiti  che   gia'   siano   rappresentati   nelle   assemblee
legislative,  essendo  gli  stessi  gia'  passati  al  vaglio   delle
elezioni. Legittimi risultano essere sia la  richiesta,  rivolta  dal
legislatore  alle  formazioni  politiche,  di  dimostrare  di  essere
sostenute, gia' al momento della presentazione  della  lista,  da  un
certo numero di consensi, sia il numero stesso (almeno  1.500  e  non
piu' di 2.000 firme di elettori) di consensi richiesto. 
    Con  il  tredicesimo  motivo  viene  censurata   l'illegittimita'
costituzionale  della  Tabella  A  approvata  dall'art.   1   decreto
legislativo n. 122/2015 per violazione dell'art.  76  Costituzione  e
dell'art. 4 della legge n. 52/2015 per violazione degli  articoli  1,
2, 3, 6, 48, 49 e 51 Costituzione. 
    L'art. 4 legge n. 52/2015 contiene una delega al Governo  per  la
«determinazione dei collegi  plurinominali»,  da  adottare  entro  90
giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, secondo  i
criteri dettati dalle lettere da a) a g) dell'art. 4.  La  delega  e'
stata  attuata  con  il  decreto  legislativo  n.  122/2015  che   ha
individuato i confini «geografici» di detti collegi, contenuti  nella
Tabella A approvata con l'art. 1 del decreto in questione. 
    Lamentano gli attori che  nel  dare  attuazione  alla  delega  il
Governo avrebbe disatteso (ossia non applicato) i criteri di cui alle
lettere c) (ultimo  periodo)  e  g)  con  violazione,  quindi,  della
delega. La mappa  dei  collegi  plurinominali  che  si  ricava  dalla
Tabella A, inoltre, non solo violerebbe  la  delega,  ma  produrrebbe
anche  una  violazione  del  principio  di  tutela  delle   minoranze
linguistiche. 
    In sintesi, secondo quanto prospettato, sarebbero stati  separati
comuni  caratterizzati  dalla  presenza  di   determinate   minoranze
linguistiche, con l'effetto pratico di «annacquarne» il peso del voto
in uscita (cio' avverrebbe,  in  particolare,  per  la  minoranza  di
lingua slovena, nonostante il riconoscimento da parte  della  Regione
ad autonomia speciale), tenuto  conto  della  soglia  di  sbarramento
posto dall'art. 83 primo comma n. 3 che le liste  rappresentative  di
minoranze  linguistiche   devono   superare   per   concorrere   alla
ripartizione dei seggi alla Camera. 
    Le considerazioni svolte in merito al difetto  di  rilevanza  del
decimo motivo possono essere parimenti  rese  in  relazione  a  detto
motivo, per la parte relativa al meccanismo di assegnazione dei seggi
e alla tutela delle minoranze linguistiche. 
    Nessuno degli attori  afferma  di  appartenere  a  una  minoranza
linguistica riconosciuta dalla legge e nessuno di loro  e'  residente
in Friuli-Venezia Giulia ovvero nella regione Sardegna (dal complesso
dei  motivi  emerge,  infatti,  che  i  ricorrenti   riconoscono   la
correttezza   delle   disposizioni   che   agevolano   le   minoranze
linguistiche insediate in Valle d'Aosta e Trentino-Alto Adige, mentre
lamentano  l'irragionevolezza   delle   norme   che   vanificano   il
riconoscimento operato a livello di statuto  speciale  dalla  regione
Friuli in favore della minoranza slovena e  l'irragionevolezza  delle
norme che non attribuiscono alcun  correttivo  al  voto  espresso  in
favore delle liste che siano espressione  di  minoranze  linguistiche
riconosciute dalla legge nelle regioni a statuto  ordinario  e  nella
regione Sardegna il cui statuto speciale nulla prevede sul punto). 
    Si legge, alla pag. 67  dell'atto  di  citazione,  a  conclusione
della illustrazione delle ragioni per le quali il nuovo  disegno  dei
collegi plurinominali comporterebbe  nei  fatti  in  una  consapevole
distorsione del voto espresso in favore delle  liste  rappresentative
di tali minoranze: «...  le  minoranze  linguistiche  riconosciute  e
tutelate dalla legge  n.  482/1999  sono  state  suddivise  tra  piu'
collegi in Piemonte, Puglia e Calabria e diluite quelle ladine  della
Provincia di Belluno in un collegio vasto, che comprende parte  della
Provincia di Treviso. Le considerazioni che precedono valgono per  il
valore generale che rivestono nell'ambito dell'ordinamento  italiano,
per  ogni  collegio  e  circoscrizione,  anche  laddove  non  fossero
presenti minoranze linguistiche. Cio' in ragione  del  fatto  che  in
ogni  caso,  vale  il  principio  per  cui  la  violazione  di  norme
costituzionali in materia elettorale,  anche  se  non  produttiva  di
conseguenze  dirette  sull'esercizio  dello  specifico  diritto   dei
ricorrenti al voto uguale e libero diretto, lede, pur  sempre  e  per
tutti gli elettori/elettrici - in via mediata - il diritto ad un voto
conforme a costituzione.  Il  principio  di  tutela  delle  minoranze
linguistiche di cui all'art. 6 Cost. rappresenta il superamento delle
concezioni nazionalistiche dello stato ottocentesco e si situa ad  un
punto  di  incontro   con   altri   principi   fondamentali:   quello
pluralistico ex art. 2 Cost. e quello di uguaglianza ex art. 3  Cost.
Ne consegue che la violazione della norma  costituzionale  di  tutela
della   minoranze   linguistiche   si   qualifica   direttamente    e
contemporaneamente come violazione degli articoli 2  e  3  Cost.  non
solo con riferimento diretto  agli  appartenenti  a  dette  minoranze
linguistiche ma pure con riferimento, seppur  mediato,  a  tutti  gli
elettori ... ». 
    Il motivo evidenzia, come riconosciuto in sostanza  dalla  stessa
parte attrice, l'assenza di una violazione  diretta  del  diritto  di
voto da ciascuno espresso per effetto delle  norme  censurate  con  i
motivi in esame. 
    La prospettata restrizione del voto  a  causa  della  sostanziale
impossibilita', che  deriverebbe  dalle  nuove  disposizioni  dettate
dalla legge n. 52/2015 (e decreti attuativi), di raggiungere  per  le
liste  espressione  di  minoranze  linguistiche  diverse  da   quelle
presentate in Valle  d'Aosta  e  Trentino-Alto  Adige  la  soglia  di
accesso del 3% (in quanto calcolata su base nazionale) ovvero del 20%
per la sola minoranza slovena  (ma  sulla  base  di  un  disegno  dei
collegi plurinominali fortemente penalizzante per tale minoranza) non
riguarderebbe pertanto in via diretta la  posizione  giuridica  fatta
valere dagli  attori  nel  presente  giudizio,  i  quali  manifestano
infatti, in relazione alle norme censurate con  il  motivo  in  esame
(cosi' come con il decimo motivo), un interesse mediato, e quindi  di
mero fatto, ad ottenere un giudizio di legittimita' costituzionale di
norme che tutelano interessi costituzionali dei quali essi  non  sono
titolari ma solo portatori quali  cittadini  italiani,  e  non  quali
elettori interessati dalla applicazione  proprio  delle  disposizioni
censurate. 
    E' allora evidente che le norme in questione non  sono  rilevanti
ai fini della decisione della  presente  controversia,  basata  sulla
asserita restrizione del diritto di voto spettante agli attori  quali
«semplici» cittadini e non quali elettori che sono anche appartenenti
a minoranze linguistiche riconosciute dalla legge  che  esprimono  un
voto in una regione non a Statuto speciale. 
    Le disposizioni  censurate  non  potranno,  per  questo,  trovare
applicazione diretta nella presente controversia, non  contenendo  il
paradigma  in  relazione  al  quale   si   valutera'   l'ampiezza   e
l'uguaglianza del diritto di voto da loro  espressa,  ferma  restando
l'esistenza di un generico interesse  (che  pero'  non  puo'  trovare
tutela giurisdizionale e quindi non  puo'  condurre  all'invio  delle
norme sospettate di  illegittimita'  alla  Corte  costituzionale)  al
rispetto, quali  cittadini  italiani,  delle  minoranze  linguistiche
anche qualora ad esse non si appartenga. 
    Parzialmente diversa (anche se la relativa questione  si  ritiene
parimenti non fondata) e' la valutazione circa  la  fondatezza  delle
doglianze svolte dagli  attori  (vedi  pag.  69  atto  citazione)  in
relazione  all'asserito  eccesso  di  delega  «per  aver  in  Liguria
dimensionato i  collegi  tenendo  conto  unicamente  del  dato  della
popolazione residente, ignorando tutti gli altri ex art. 4  legge  n.
52/2015»; e' stata evidenziata la anomalia di aver mutilato la Citta'
Metropolitana di Genova degli ex collegi  uninominali  di  Rapallo  e
Chiavari e dei comuni di Ceranesi e  Campomorone  in  Val  Polcevera,
rilevandosi  in  particolare  come  per  questi  due  ultimi   comuni
«l'assurdita' balza agli  occhi  in  quanto  sono  piu'  vicini  alla
Provincia di Savona che a quella di la  Spezia  ma  soprattutto  sono
assegnati al  collegio  Liguria  3  solo  2  comuni,  quando  la  Val
Polcevera e' composta dai comuni di Campomorone, Ceranesi, Mignanego,
Sant'Olcese, Serra Ricco', nonche' dal municipio V  -  Val  Polcevera
integralmente e parzialmente dal Municipio  II  centro  ovest  e  dal
Municipio VI - medio Ponente». 
    I predetti comuni, intervenuti nel processo ex art. 105, comma  2
codice di procedura civile nell'aderire alle doglianze  svolte  dagli
attori con il tredicesimo motivo, hanno dato atto della  mancanza  di
legami  storici,  socio-economici,  infrastrutturali  o  di  assi  di
comunicazione con il levante Ligure.  Questo  dato  -  che  ben  puo'
definirsi notorio - non e' stato espressamente  contestato  da  parte
convenuta. 
    L'art. 4 della legge n. 52/2015 nel prevedere e  disciplinare  la
Delega al Governo per la determinazione  dei  collegi  plurinominali,
stabilisce  alla  lettera  b)  i  criteri  relativi   al   numero   e
all'ampiezza dei collegi in ciascuna circoscrizione:  in  particolare
il numero dei collegi plurinominali da costituire e' determinato  con
il metodo dei quozienti interi e dei piu' alti resti  in  proporzione
al  numero  di  seggi  assegnati  alla  circoscrizione,  secondo   la
ripartizione effettuata ai sensi dell'art. 56 della Costituzione;  la
popolazione di ciascun collegio non puo' scostarsi dalla media  della
popolazione dei collegi della circoscrizione di piu' del 20 per cento
in eccesso o in difetto. L'introduzione del criterio demografico mira
alla costituzione in ogni  circoscrizione  di  collegi  plurinominali
tendenzialmente  omogenei  sotto  il  profilo  del  numero  di  seggi
spettanti.  Sulla  base  dei  calcoli  effettuati  dalla  Commissione
all'uopo costituita alla Liguria (tenuto conto del numero di abitanti
complessivo pari a 1.570.694) spettano  16  seggi,  con  tre  collegi
uninominali, con  popolazione  media  per  seggio  pari  a  98.168  e
popolazione media per collegio pari a 523.565. 
    Le lettere c), d) ed e) indicano poi i principi e criteri per  la
determinazione del territorio  destinato  a  costituire  il  collegio
plurinominale. 
    Il primo principio (di cui alla lettera c)), e'  quello  relativo
alla coerenza e continuita' del territorio: devono  essere  garantite
la coerenza del bacino territoriale di ciascun collegio e, di  norma,
la  sua  omogeneita'  economico-sociale   e   delle   caratteristiche
storico-culturali, nonche' la continuita', salvo il caso  in  cui  il
territorio stesso comprenda porzioni insulari.  In  base  ai  criteri
indicati sempre alla lettera c) i  collegi,  di  norma,  non  possono
dividere il territorio di un comune,  salvo  il  caso  di  comuni  di
dimensioni demografiche tali da ricomprendere al  loro  interno  piu'
collegi. In  questo  caso,  ove  possibile,  il  comune  deve  essere
suddiviso in collegi formati mediante  l'accorpamento  dei  territori
dei collegi uninominali stabiliti dal decreto legislativo n. 536  del
1993 (di attuazione della cd. legge Mattarella) per l'elezione  della
Camera dei deputati. La legge (lettera e)) indica poi  un  ordine  di
priorita' nell'applicazione dei principi per  la  determinazione  del
territorio dei collegi indicati alle lettere precedenti: qualora  non
sia altrimenti possibile rispettare  il  criterio  della  continuita'
territoriale, si puo' derogare  al  principio  dell'accorpamento  dei
territori dei collegi uninominali stabiliti dal  decreto  legislativo
n. 536 del 1993 e, in  subordine,  al  criterio  dell'integrita'  del
territorio provinciale. 
    In  base  alla  lettera  e),  dunque,  quello  della  continuita'
territoriale si delinea come un criterio prevalente, per il  rispetto
del quale i restanti criteri territoriali sono  derogabili.  Rispetto
ad essi, l'unica possibilita' di deroga al criterio della continuita'
territoriale e' la presenza in una  zona  di  minoranze  linguistiche
riconosciute (ai sensi della lettera c)). 
    Avuto riguardo al caso in  esame  la  doglianza  non  si  ritiene
fondata, non sussistendo a parere della scrivente  alcuna  violazione
della legge delega (pur condividendosi i rilievi di parte  attrice  e
dei comuni intervenuti in merito  alla  dedotta  mancanza  di  legami
storici, socio-economici, infrastrutturali o di assi di comunicazione
con il levante Ligure, e al contrario della presenza di forti  legami
con l'altrettanto contiguo territorio genovese che  avrebbero  potuto
portare all'individuazione di diversi confini  territoriali  dei  tre
collegi liguri). Per la individuazione del territorio ricompreso  nel
collegio Liguria  3,  avuto  riguardo  ai  comuni  di  Campomorone  e
Ceranesi, ci  e'  attenuti  infatti  al  criterio  della  continuita'
territoriale,  risultando  ricompresi  nel   predetto   collegio   il
territorio dei comuni confinanti verso  est,  e  tutta  la  zona  del
levante fino a La Spezia. 
    Con il quattordicesimo motivo  viene  censurata  l'illegittimita'
costituzionale degli articoli 16 e  17  del  decreto  legislativo  20
dicembre 1993, n. 533, come modificati dall'art. 4, settimo e  ottavo
comma della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, per  violazione  degli
articoli 1, 3, 48, 49 e 51 Costituzione. 
    Posto che i  componenti  elettivi  del  Senato  sono  315  e  gli
elettori meno di quelli della Camera, non partecipando le  classi  di
eta' 18-24, gli attori lamentano che del tutto irragionevolmente,  le
soglie di accesso sarebbero il doppio, 8% per le liste singole e  20%
per le coalizioni, cosi' che, con la meta' dei seggi e l'elezione  su
base regionale, la soglia di accesso naturale  sarebbe  piu'  elevata
alla Camera.  In  conseguenza  di  cio',  secondo  la  prospettazione
attorea il voto non risulta uguale e i candidati con lo stesso numero
di voti hanno  meno  possibilita'  al  Senato  che  alla  Camera,  in
violazione dell'art. 51 Cost.. A causa delle soglie di  accesso  piu'
elevate, poi, i partiti o gruppi  politici  organizzati  non  possono
presentarsi con le stesse liste alla Camera e al Senato, il voto  non
e' libero e i partiti politici non possono concorrere  a  determinare
la politica nazionale, in violazione dell'art. 49 Cost. 
    Le argomentazioni di cui  sopra  sono  manifestamente  infondate;
quanto alla previsione delle soglie  di  sbarramento  e'  sufficiente
rilevare come secondo il Giudice delle leggi «la previsione di soglie
di sbarramento e quella delle modalita'  per  la  loro  applicazione,
sono tipiche manifestazioni della  discrezionalita'  del  legislatore
che intenda evitare la frammentazione della rappresentanza  politica,
e contribuire alla governabilita' (Corte cost. n. 193/2015);  inoltre
le possibilita' da parte di un candidato di essere eletto in entrambe
le camere non possono essere oggetto di confronto, posto  che  ognuna
delle due articolazioni del Parlamento risponde a distinte regole  di
funzionamento, apparendo del tutto  fisiologico  che  le  soglie  per
l'accesso alle assemblee legislative siano fra loro diverse. 
    In conclusione, per  tutte  le  ragioni  esposte,  devono  essere
dichiarate rilevanti e non manifestamente infondate le  questioni  di
costituzionalita'  sollevate  nel  giudizio,  tutte  incidenti  sulle
modalita' di esercizio della sovranita' popolare (art. 1 Cost., comma
2, 3, 48 secondo comma  Cost.),  come  esposte  nei  motivi  secondo,
terzo, quinto, sesto, ottavo e nono.